di Giattini Alberto

I flussi migratori

Il flusso dell'emigrazione dei nostri concittadini verso l'estero si inquadra nella tendenza regionale sia come destinazioni che come entità. L'emigrazione dei marchigiani si colloca in tendenze diverse rispetto a quelle nazionali, dove il fenomeno cominciò a diventare corposo verso la fine degli anni settanta del 1800. Ciò era probabilmente dovuto sia alla economia prevalentemente agraria di tipo mezzadrile che uniformava l'economia della nostra regione preservandola maggiormente dalla crisi agraria, sia al fenomeno della "migrazione" verso Roma, dove i marchigiani costituivano, nel censimento del 1901, uno dei gruppi regionali più consistenti. L'andamento del flusso emigratorio è ben visibile nel grafico (Fig. 1).
A partire dalla seconda metà del XIX0 Secolo inizia con una certa convinzione il trasferimento all'estero, che toccherà il suo apice nel periodo antecedente la prima Guerra Mondiale. Le destinazioni prevalenti sono quelle del Continente Americano dove gli Stati Uniti sono secondi solo all'Argentina nella scelta della destinazione per i Marchigiani.
Tanto per dare un'idea del flusso migratorio i marchigiani risultarono negli anni compresi tra il 1876 e il 1925 oltre 170.000 solo in Argentina dove figuravano numericamente a ridosso di regioni molto più popolose come la Lombardia ed il Piemonte.
Ma se è vero che la maggior parte di questi si recavano in Argentina (circa il 33%), molti altri preferivano gli Stati Uniti (circa il 19%) che seguiva a ruota il Paese sudamericano. Altre mete erano la Francia (12%) e la Germania (9%), mentre il Canada occupa soltanto il 2% (Fig. 2). Cosa facesse decidere i nostri concittadini per una meta piuttosto che per un'altra non è dato sapere. Sicuramente nei periodi di maggiore flusso oltre alla ricerca del benessere ha svolto un ruolo fondamentale la necessità di ricongiungere il nucleo familiare oppure l'avvio al lavoro da parte di parenti o amici già insediati, il tutto con la certezza di avere un futuro migliore di quello che si prospettava in quel momento.
L'incremento dell'emigrazione nei primi venticinque anni del XX° Secolo ha certamente coinciso con lo sviluppo economico, industriale e tecnologico di oltre Oceano, specialmente negli Stati Uniti. A stimolare tali difficili decisioni fu sicuramente la voglia di lavorare e di dare spago alle ambizioni imprenditoriali di allora (citeremo diversi casi di portorecanatesi in tal senso) non certo la ricerca di facili guadagni poco puliti tipica di quegli anni in alcune metropoli americane.
Molti marchigiani infatti non si insediarono nelle grandi città, ma preferirono la provincia, più consona alle proprie origini radicate in un territorio privo di metropoli, ma ricco di una miriade di piccoli centri ognuno dei quali con una propria storia.

Un'altra importante caratteristica riguarda la diversa prevalenza delle destinazioni in rapporto al periodo. L'emigrazione verso gli Stati Uniti ha caratterizzato particolarmente gli anni a cavallo tra il 1800 e il 1900 fino al 1925 circa per andare poi a scemare. Viceversa l'emigrazione verso l'Argentina ha continuato ad essere un fenomeno importante fino all'immediato dopoguerra. Tale aspetto ha fatto sì che molti degli emigranti di quegli anni sono ancora vivi ed hanno mantenuto i contatti con le famiglie nella lingua di origine.
Viceversa il fenomeno migratorio verso il Nord America essendosi esaurito da troppo tempo non solo ha fatto perdere le tracce dei marchigiani trasferitisi in quanto non più viventi, ma la diversità linguistica (anche se l'inglese è la lingua più studiata nelle scuole italiane) e la mentalità poco "stanziale" degli americani (tali sono, a tutti gli effetti i figli e i nipoti dei nostri emigranti) hanno facilitato la rottura di quel cordone ombelicale che legava le due sponde, anche se chi scrive può testimoniare l'elevato attaccamento alle origini dell'italo-americano medio.

Il fenomeno dell'emigrazione nelle Marche. - di Alberto Giattini