A proposito di Società dalla pancia piena.

di Davide TRAMANNONI

L'intervento prende spunto dalla "Lettera aperta a Sandro Antognini" di

Aurelio Bufalari pubblicata nelle pagine di questo sito e fa riferimento

alla risposta scaturita da tale lettera

Caro Sandro,

ho letto con molto interesse la tua risposta alla lettera a te inviata da Aurelio. Devo dire subito che mi ha destato interesse appunto, riflessione, tristezza ma speranza.

Ormai è assodato che la società, non solo quella portorecanatese, è profondamente cambiata rispetto al periodo da te citato, il ’73. Tu sostieni che è meglio oggi “con la pancia piena” che ieri “con la pancia vuota”; anche qua ti do ragione.

Credo anche, però, Sandro, che oggi siano aumentate le pretese, le attese rispetto a prima, oggi ci bombardano di messaggi irreali tramite la tv ed Internet, ci fanno credere in certi status symbol che ai comuni mortali è impossibile raggiungere.

Anni indietro ci si accontentava della “partitella” all’Oratorio, oggi si vuole la vacanza in Giamaica; ci si accontentava della 126 del papà per uscire il sabato sera, oggi ci vuole la Golf e così via.

Oggi abbiamo la pancia piena…ma di che cosa caro Sandro?

Delle favole raccontate dalla Tv e mass media in genere, siamo cresciuti con l’overdose del voler dare ai figli ciò che i padri non hanno avuto, siamo cresciuti con l’enfasi del boom economico che faceva sembrare umile chi non poteva e, guai ad essere umile nella nostra società, è segno di sconfitta. Oggi ci vuole l’arroganza, caro Sandro: oggi se tu non dai la precedenza ad un incrocio devi mandare al diavolo e non chiedere scusa perché guai a sembrare debole – scusa la banalità -.

Oggi abbiamo la pancia piena…continuo a pensare caro Sandro.

Abbiamo la pancia piena di pagare un mutuo lavorando in due o meglio se in tre, mentre tempo indietro bastava uno stipendio per molti, abbiamo la pancia piena dei bollettini da pagare pur d’avere, abbiamo la pancia piena perché se non c’è papà che ci aiuta a comprare casa noi giovani non ce la possiamo fare da soli, a 4 o 5 milioni (di vecchie lire) al mq.

Vedi Sandro, credo che questa modernità ci sia sfuggita di mano a tutti!

Ho letto, credo che l’abbia scritto Aurelio, che ai valori non ci si crede più, peccato, perché ancora ricordo il giorno che sono rientrato a casa con una felpa firmata che mi costò 115.000 lire dei miei soldi e mio padre che non mi parlò per una settimana dopo avermi spigato che quella felpa mi era costa, allora, più di un giorno di lavoro, quale era il senso?

Oggi abbiamo la pancia piena…provo a generalizzare.

Negli ultimi anni la nostra società ha creato più di cinque milioni di lavoratori senza diritti, i co.co.co, i contratti di formazione, interinali, i lavoratori socialmente utili, i contratti a tempo determinato vanno “alla grande”. Tu sai, meglio di me, che per programmare, progettare il futuro, ognuno di noi ha bisogno di certezze, di garanzie, di diritti.

In mancanza di certezze si corre dietro all’effimero, che per certi versi c’è imposto, dal mercato ovviamente.

Ogni richiamo filosofico per spiegare quanto sopra è segno di frustrazione.

Quanti libri, poi, ho letto di chi si ritiene riformista. Bene coloro si ritengono tali anno avuto l’occasione di governare e, proprio durante il decennio di politica salariale, hanno permesso il diffondersi di forme atipiche di lavoro, sempre all’insegna di una maggiore flessibilità ma, non legittima, come potrebbe essere quella danese o svedese che è accompagnata da ammortizzatori sociali, quella selvaggia intenta ad abbattere i costi aziendali a discapito della qualità.

Queste nuove forme imprenditoriali sono imposte e quindi creano disagio, ansia e difficoltà economiche. Non è un caso che il crollo dei consumi sia proprio arrivato dopo un lungo periodo di flessibilità selvaggia ma, questo è un altro discorso.

Se sottovalutiamo questo passaggio, drammatico ed importante, non capiremo il perché del cambiamento della nostra società.

Queste incertezze, fanno sì che la società non sia più l’insieme di persone che si riconoscono come parte di quella società, seppur eterogenea ma, il semplice sommarsi di tante individualità, ognuna con il proprio mondo e non accomunate da niente ma solo dall’istinto di sopravvivenza.

Non vado avanti, caro Sandro, perché non so se sono riuscito a spiegarti il mio pensiero, non sono un professore e la mia proprietà di linguaggio non è al loro pari.

Ciao

Davide Tramannoni

 

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