Etichette e confronto delle idee.

Risposta alla lettera Aperta di Aurelio Bufalari

di Sandro ANTOGNINI

 

Caro Aurelio,

innanzitutto mi scuso se solo ora rispondo alla tua lettera pubblicata su questo sito, ma il tempo non sempre basta a soddisfare le proprie necessità, scorre via così veloce che, nonostante sia Sabato, lunedì ti sembra sia stato appena ieri.

Le questioni che tu poni nella lettera sono così tante e diverse tra loro che non credo sia possibile proporre una risposta in grado di soddisfarle tutte. Non solo per motivi di spazio, ma soprattutto per questioni di competenza che, francamente, io so di non avere.

Mi sembra però di aver capito, scorrendo le parole, che non sia questa la tua effettiva richiesta.

Credo che il filo conduttore del tuo discorso sia identificabile in quel “Voi”, visto come denigratorio che pone la questione antica, per la nostra realtà, del “giudizio”  arbitrario, del pregiudizio, insomma dell’attribuzione di “etichette”.

La nostra città, del resto, non è nuova a fatti di questo genere ed il suo progredire dal punto di vista del benessere economico, non è certamente stato accompagnato da un’analoga crescita culturale che si basa soprattutto sul confronto delle idee.

Ricordo che molti anni fa, esattamente nel 1973, insieme ad alcuni amici prendemmo una iniziativa di carattere sportivo. Era una sorta di “mini-olimpiade” rivolta ai giovani dai 10 al 14 anni, nel cui programma erano inseriti quasi tutti gli sport, dal calcio, al ciclismo, ai principali sport di squadra, al tennis tavolo, fino all’atletica leggera. La manifestazione fu organizzata come si conviene, con un calendario, siti organizzativi, cerimonia d’apertura ufficiale con la presenza delle autorità sportive provinciali, sfilata e apertura solenne.

L’iniziativa aveva anche un motto che fu scritto su tela a caratteri cubitali ed esposto in Piazza Brancondi durante la cerimonia di apertura. Il motto era “Più sport nella scuola, più mezzi alle società, per uno sport popolare e di massa” . Lo aveva promosso la Federazione di Atletica Leggera; a noi era piaciuto e lo adottammo. Eravamo molto giovani allora, e ci piaceva assai tutto ciò che aveva alti contenuti ideali.

Eppure quel motto fece molto discutere e sollevò diverse polemiche, soprattutto politiche. L’oggetto del contendere erano quei termini “popolare e di massa” molto in voga, allora, nel lessico della sinistra storica. Chi proponeva la manifestazione, pure se giovane, aveva già una sua chiara connotazione politica, pubblicamente manifestata nella vita della città. Quindi si fece presto a trarre le conclusioni: si parlò senza mezzi termini di “strumentalizzazione politica”.

Si attribuì così ad una iniziativa dei connotati che assolutamente non aveva, conferendole un’etichetta arbitraria e fuori luogo. Eravamo molto giovani allora  e ciò che motivava le nostre azioni era solo la passione per lo sport, il senso forte e profondo dell’amicizia (io credo nei valori e l’amicizia lo è assolutamente, perché più volte ho avuto prova tangibile della sua efficacia), il piacere di fare qualcosa liberamente (sarebbe più giusto dire la gioia) che potesse farci gustare momenti collettivi, vissuti dentro il tessuto sociale del “luogo natio” e rendere così più esplicito il senso di appartenenza.

Era solo questo il movente e nulla più.

La natura di quel pregiudizio, di quell’etichetta mascherata con l’attenuante generica della “strumentalizzazione”, in realtà era anche un’altra. Stava nascendo nel nostro paese un protagonismo, soprattutto giovanile prima sconosciuto alla nostra realtà abituata a ritmi più blandi. Questo protagonismo produceva “novità”, “movimento”, difficile da comprendere subito in un paese come Porto Recanati che, senza accorgersene, stava subendo le trasformazioni sociali del boom economico.

Ho portato questo esempio perché, credo, calzi perfettamente con quanto da te scritto circa quel “Voi” a te attribuito da una persona, che poi è anche tuo amico e che con te ha condiviso gran parte del periodo di gioventù e non solo.

Se posso azzardare un’ipotesi però, ritengo che dentro questa “etichettatura” si celi una delle lacune più significative della vita collettiva della nostra città: e cioè la mancanza di dialogo.

Devi ammettere anche tu che da molto tempo la parola “confronto” è scomparsa dalle manifestazioni di vita cittadina. Quel “confronto” che un tempo avveniva per vari canali, dall’ Oratorio, alla sezione dei partiti, ai quadri murali e si manifestava pubblicamente, oggi fa fatica a trovare canali di comunicazione.

E’ come se improvvisamente si fosse reciso il cavo che alimenta il dialogo, che produce cioè il confronto delle opinioni fatto anche di scontri duri di polemiche, di diversità  e che consente alla comunità ed agli individui di trasferire nel tessuto collettivo la propria sensibilità, le proprie esperienze, le cose apprese lungo il cammino della vita.

Senza questo confronto è impossibile trovare risposte ai tanti quesiti che tu poni nella tua lettera.

Le ansie, le certezze, gli aneliti che ciascun individuo può provare dentro di se e che sono il frutto della propria esperienza di vita, hanno la necessità di trovare un riscontro nelle altre umanità che popolano il villaggio “umano”.

In fondo il tuo partecipare alle pagine di questo sito, è la dimostrazione eloquente di quanto anche in te sia forte la necessità del confronto.

Soprattutto adesso, nell’età matura, quando ormai si fa forte la consapevolezza che la vita è fatta di complessità e che il mestiere di vivere non può mai prescindere dagli altri e quindi dalla necessità di confrontarsi con gli altri.

Probabilmente questo stesso sito telematico, questa iniziativa scaturita, come quell’antica “mini olimpiade”, dalla passione e dalla voglia di esserci, soffre di questo bisogno di dialogo soprattutto perché, per essere vivo, esso abbisogna di partecipazione, di racconti, di immagini, di pensieri, di opinioni, di idee.

Io non so dirti se i “cosiddetti militanti della sinistra” abbiamo o meno contatti con questo sito. Del resto non credo che questo sia così importante. Anche perché facendo questo ragionamento, involontariamente, si rischia di attribuire a ”portorecanatesi.it” un’etichetta che invece non ha; se per etichetta intendiamo qualcosa di dispregiativo e non un elemento di diversità.

Qui, in queste pagine elettroniche, c’è spazio per il confronto.  Ma il confronto implica sempre una volontà, implica avere curiosità, implica prendere posizione, implica non stare alla finestra.

Tu in fondo devi riconoscere che hai trovato attraverso questo canale la possibilità di comunicare al mondo esterno ciò che scorre dentro i tuoi pensieri, di trasmettere quella parte di te che non sempre trova audience nella vita quotidiana. Hai cioè trovato considerazione e rispetto, pure se a volte, nel dibattito che ne è scaturito, le risposte sono state franche e “forti”.

Credo che ciò vada riconosciuto a “portorecanatesi.it” il cui  tentativo è quello di raccontare il tempo attuale in tutte le sue sfaccettature e intorno alle sue complessità.

Molte delle questioni che tu poni rappresentano “i dubbi” del vivere quotidiano e sono degli indicatori chiari della “complessità dell’animo umano”.

Ma queste “domande” non avranno mai una risposta certa perché il tempo muta e con esso muta la conoscenza umana. Ma queste “domande” potranno avere delle risposte parziali solo se gli individui avranno la capacità di confrontarsi tra loro.

Ecco perché, a questo punto del ragionare, a me viene spontaneo porre altre “domande” che riguardano direttamente la vita della mia città e che pure partono dalla necessità del confronto e dentro le quali altri pregiudizi, altre “etichette” continuamente si alimentano.

Perché non ci si confronta più a Porto Recanati?

Certo i partiti hanno perso ormai per sempre la loro capacità di aggregare e di promuovere il senso collettivo della vita politica. Certo, l’Oratorio non rappresenta più per molti giovani quel laboratorio di esperienze pratiche, umane e religiose che ha forgiato molte generazioni di giovani conferendo loro le dritte del vivere.

Lo stesso associazionismo, frammentato in mille rivoli, ha difficoltà ad identificarsi nel tessuto collettivo del paese.

Eppure le condizioni economiche sono decisamente migliorate. Eppure il tempo libero di cui si dispone oggi è di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altra precedente generazione.

Eppure quella in cui siamo immersi anche noi portorecanatesi è la “società dalla pancia piena” (condizione decisamente migliore di quella che la pancia l’aveva vuota).

Allora perché si continua a stare alla finestra?

Molte cose sono cambiate in questo nostro paese in questi ultimi anni e molte altre stanno cambiando con una velocità frenetica.

I nostri “salotti” sono belli e rendono lieti gli occhi. Ma nel contempo altre situazioni hanno subito grandi modificazioni, strappi pesanti rispetto alla nostra, pur giovane, storia passata.

La famiglia, roccaforte e caposaldo della nostra identità, sta andando in frantumi.

Il tessuto sociale, un tempo reso forte e vitale anche dalle caratteristiche urbanistiche dentro le quali esplicava il suo vivere quotidiano (il vicolo, il quartiere, la spiaggia), pure esso vede ogni giorno consumarsi quello che un tempo veniva definito come “senso di appartenenza”.

I giovani, i ragazzi e le ragazze delle nostra comunità faticano a trovare punti di riferimento dentro i quali identificarsi, dentro i quali sentirsi gruppo, branco; neppure negli adulti riescono a trovare punti di riferimento certi, esempi da seguire.

La nostra realtà, un tempo borgo di pescatori e di artieri, è divenuta oggi, anche in seguito ad un sviluppo urbanistico sovradimensionato, un crogiolo multietnico  ricchissimo di potenzialità umane ma che non fa nessun tenttivo per far si che queste “risorse” riescano tra loro a comunicare ad integrarsi, a parlarsi.

La nostra economia ha assunto connotati ben precisi subendo trasformazioni che quasi mai hanno visto protagonista “la gente del luogo”.

Ci siamo lasciati alle spalle abilità artigianali di rilievo subendo lo sviluppo senza riuscire a parteciparvi.

E’ solo colpa del progresso che avanza? del tempo nuovo? Delle innovazioni tecnologiche? Io non credo. Ma di questo se ne può parlare.

Come vedi quindi, caro Aurelio, sono tante le cose che potrebbero promuovere le opinioni, le idee, i pensieri. Tante e sconfinate.

Allora: di destra, di centro, di sinistra, di centro-sinistra o di centro-destra… ce ne sono di cose di cui parlare. Se si ha qualcosa da dire è sufficiente, come dici giustamente tu “vivere alla luce del sole”, provare l’emozione di non stare più alla finestra lasciando che il mondo “fuori” scorra.

 

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