I paria del mare.

I pescatori sono i paria del mare. Hanno anch'essi lunghi periodi di inattività e nei tempi morti si ingegnano a fare qualcosa, ma vivono ai margini delle cittadine ove abitano, in quartieri quasi isolati dal resto, consapevoli della condizione precaria che li caratterizza.
Il pesce vale poco e se ne pesca poco, spesso solo per casa.
Solo gli abbienti di tratto più raffinato amano il pesce, essendo la carne bovina il simbolo del benessere.
A Fano le vongole si chiamano "purazz", proprio a significare che sono cibo da poveri.
I quartieri dei pescatori, nei quali si accumulano reti, velacci, cesti, carrettini da trasporto (carioli), cordami, ancore, pennoni, ecc., sono costituiti da case bassissime, pianoterra senza soffitti interni, disposte a schiera.

Se ne vedono ancora oltre che a Porto Recanati, a Porto San Giorgio e San Benedetto del Tronto, ma sono poche e scompariranno presto come sono già scomparse quelle di Senigallia e Fano, ove, per altro, c'è ancora un quartiere con minuscole abitazioni a due piani uno atterrato e l'altro edificato su di esso, già abitato da pescatori.
A Sirolo, sulle pendici del Cònero, e a Numana, i pescatori vivono entro le mura urbiche e scendono sulle spiagge o tra gli scogli, ove tengono le barche.
Ad Ancona in più poveri tra i pescatori abitano oltre che in alcuni vicoli stretti ed oscuri (nei bassi) persino sulle grotte aperte direttamente sul mare umide e di scomodissimo accesso, sopra le rupi, ove nidificano i gabbiani.
Stanno con la barca, i remi, le reti, le nasse, i familiari in un solo stanzone ricavato nel calcare o a piano terra.
Nonostante la povera condizione economica e qualche forma di esclusione sociale, i pescatori sono orgogliosi del loro mestiere e si sentono più evoluti dei campagnoli.

Il contatto con il mare, gli incontri nei porti, le occasioni offerte con la città (i caffè della marina) ne fanno un ceto con particolari peculiarità.
Sono fieri della discendenza marinara, dicono di non avere padroni perché il mare è di chi lo sa governare, sono più alfabetizzati dei contadini.
Come i nobili alzano una insegna, la vela colorata con l'emblema della famiglia: la mezzaluna, una croce, la stella, il sole, il delfino, il drago, la spada, l'Angelo Gabriele, ecc., di diverso colore su fondo arancione, spesso con i segni dell'araldica
(palle, bande, galloni) ed una scritta ben pitturata in campo bianco sotto un triangolo apicale di colore diverso, spesso rosso.

Tratto da "Storia d'Italia: Le Regioni dall'unità a oggi: LE MARCHE"
"Pescatori e trabaccolanti"
Einaudi Edizioni (1995)