490 a.C. – 2008: I PERSIANI SONO NUOVAMENTE SCONFITTI

Racconto di Mirco Cappella

an image Dopo circa 2498 anni, seppur nel mio piccolo, sono riuscito a sconfiggere i persiani.
L’ho fatto a New York, la grande mela, gustandomi ben cinque distretti, quasi cinque paesi, cinque modi di vivere differenti.
Dal ponte di Verrazzano, due chilometri di balcone su Manhattan, passando per Brooklin, il Queens, l’Upper Side (Manhattan), il Bronx, Harlem, e di nuovo dentro il cuore verde di Manhattan, Central Park.
L’addestramento alla battaglia è entrata nel vivo il 24 agosto, il giorno dopo della sconfitta del Palio di S.Giovanni. I giorni precedenti, seppure avessi già iniziato la preparazione, la testa era in parte concentrata sulla locale disfida tra quartieri.
Il 24, appunto, è scattata una molla, la “carogna”, che ha fatto in modo di poter concentrare tutte le forze sull’appuntamento del 2 novembre.
Avevo davanti un programma di allenamenti fitto ed impegnativo. Col passare dei giorni realizzavo che stava andando tutto bene, secondo i piani. Al mio fianco ho avuto due validissime figure che sono stati uno la logistica e l’altra l’artiglieria pesante della battaglia. Paolo Bravi, il mister, e Marco Boccanera, il compagno di allenamenti.
Il primo, seppur spesso impegnato a risolvere i suoi acciacchi ed a seguire da vicino la Luna del nostro Team, ha pianificato al meglio l’avvicinamento alla gara, fornendo scorte di fiducia e di grinta; l’altro, silenziosamente e costantemente, mi ha addestrato allo scontro, senza mai stancarsi un attimo. Entrambi, comunque, senza tralasciare anche la loro personale sfida.
L’avvicinamento alla battaglia è stato lungo e nervoso, ma allo stesso tempo allietato da visite fantastiche ai luoghi caratteristici del campo di sfida. Il sabato in parte l’ho trascorso in solitudine, in modo tale da cercare di focalizzare al meglio le strategie precedentemente pianificate.

2 Novembre
Alle 4.55 eravamo già tutti in hall, pronti a partire. La metro ci ha traghettati fino alla “Public Library” dove ad attenderci abbiamo trovato decine di volontari che, molto gentilmente ma un po’ in stile SS, ci hanno immediatamente imbarcato sul pullman. Lì dentro è stata consumata parte della colazione, mentre le prime luci dell’alba offrivano uno spettacolo di New York più unico che raro.
Il ponte di Verrazzano, percorso al contrario, era già un assaggio del percorso.
Fort Wadsworth ci ha offerto i primi sostentamenti contro il freddo, poi ognuno ha raggiunto l’area relativa al colore del proprio pettorale. Ci siamo divisi.
Il freddo rimaneva costantemente pungente, ma intanto iniziava a sentirsi il tepore dei primi raggi del sole, che faceva capolino.
Terminata la colazione in un angolo di prato ci siamo ritagliati il nostro spazio per cercare di riposare ancora un pò.
Alle 9 circa abbiamo depositato le borse sul camion ed abbiamo raggiunto la nostra griglia di partenza, dove ho notato una massiccia presenza di italiani. Poco dopo ci hanno spostato a pochi metri dalla linea di partenza. Stranamente mi sentivo già più rilassato, molto meno nervoso del solito. L’inno americano ha anticipato l’inizio della battaglia, scandita da un colpo di cannone. Partiti. Ero con pochi minuti di riscaldamento sulle gambe, ma nonostante le accortezze prese prima dello sparo ho subito patito il freddo.
Ciononostante il primo miglio, seppur in salita e controvento, l’ho corso troppo velocemente. L’emozione è stata subito forte nel vedere tre grandi serpentoni incrociarsi, ma soprattutto Manhattan ed i suoi grattacieli campeggiare sullo sfondo. Sin dai primi chilometri si poteva notare una insolita presenza di pubblico, ed al 3° miglio, primo ricongiungimento con gli altri concorrenti, il dubbio è divenuto realtà in quanto, dopo una secca curva a destra, due ali di folla scatenata ci hanno accolto nel cuore di Brooklin. Se prima ero emozionato, ora il doppio.
Il tutto ha contribuito ad andare ancora più forte: passaggio al 10° km 0:39:58.
Il giorno precedente avevo reperito una tabellina che portavo al polso con indicati i passaggi al miglio per poter terminare in 2h50’, ed era già stata disattesa. Sono rimasto stranamente tranquillo a gustarmi cosa succedeva ai lati del percorso, mentre con Marco si pensava di mollare un po’ il ritmo per gestire un po’ meglio alla fine: Impossibile.
Continuavamo ad essere costantemente in anticipo, mentre il pubblico dava il meglio di sé: alcuni suonavano, altri cercavano un 5, altri ancora attratti dal tricolore sulla canottiera gridavano “Go Italia!!”. Ed intanto avevo la pelle sistematicamente accapponata.
I passaggi al 15° (0:59:54) ed al 20°km (1:19:46) sottolineavano una particolare freschezza psicofisica, tanto da passare alla mezza in 1:24:05.
All’entusiasmo si opponevano le parole dei più esperti…”La seconda parte è più dura, non farti trascinare dall’emozione…”… a parole è facile dirlo, ma è veramente dura frenarsi. Pertanto un minimo di preoccupazione era presente nei pensieri: avevo paura di accusare il colpo, nonostante mi sentissi particolarmente bene.
Qualche centinaia di metri tra vecchi fabbricati industriali dismessi erano il biglietto da visita di Manhattan: Il Queensboro Bridge che, lungo un paio di chilometri, anticipava i saliscendi della seconda parte della battaglia tanto temuti. La parte finale del ponte è stata accompagnata da un boato, quello del pubblico sulla First Avenue.
Lì è iniziata la parte bella della gara. Le gambe andavano, il ritmo era costante, ed iniziavo a mettermi alle spalle i primi morti, senza mai abbandonare la linea blu. Lungo questo stradone a sei corsie il frastuono era assordante, e l’emozione saliva sempre più.
In un batter d’occhio e senza tanti problemi passo anche al 30°Km in anticipo sulla tabella di marcia (1:59:44) ed ingenuamente inizio già a pensare all’arrivo.
 Ma è latente il solito pensiero negativo…”la seconda parte è più dura…”… Nonostante l’accumularsi dei chilometri continuo ad essere costante anche al 35° (2:20:06), e subito dopo Harlem inizia la salita. Caricato dall’instancabile pubblico la affronto nel migliore dei modi, forse anche aiutato dalla lucidità mentale e dall’ininterrotto recupero di posizioni.
Arrivo nel cuore di Central Park, e stavolta le gambe iniziano ad accusare i saliscendi del parco. La grinta e l’emozione compensano la fatica fisica. Tra le urla sento anche “E’ Mirco…Vaiii!!!”. Anche gli amici appostati fanno la loro parte, iniettandomi fiducia ed ulteriore grinta.

Mi butto giù in discesa cercando di fare girare le gambe senza inchiodarmi… Vai Italia! Go Grottini! “Dai Mirchetto, tieni duro, è fatta…” mi ripeto. 40°Km: 2:39:41. Cerco di fare calcoli ma non credo a quello che leggo. Sono davvero ad un passo dalla gloria. Curva e controcurva portano ad uscire sul lato sud di Central Park, ancora leggermente in salita, sempre più pieno di gente.
Le gambe vanno ancora, tanto da farmi recuperare ancora qualche posizione. Curva secca a destra, sono nuovamente dentro il parco, ed un cartello a destra segna “800 yards to go”. Si accende il turbo.

Non credevo ai miei occhi… vedevo l’arrivo a poche centinaia di metri. Ero felicissimo, chi mi ha visto da fuori sostiene che addirittura ridevo. Avevo le ali ai piedi… 2h48’16 segnava il cronometro: INCREDIBILE.
Al collo mi infilano una medaglia. La Battaglia è vinta.