Reazione a caldo agli avvenimenti Iracheni.
Quando ha scritto queste consiederaziioni Letizia Piangerellli si trovava in Honduras per conto della Oraganizzazioni Non Governative (O.N.G) della Comunità Europea. Insieme ad altri collaboratori ha portato avanti un progetto a sostengo della popolazioni di quel paese.
Successivamente, invece, è stata impegnata in Argentina presso l'Ambasciata d'Italia per conto del Ministero degli Esteri Italiano.




Pensieri sparsi.

Quanti mesi sono che é iniziata (finita?) la guerra in Iraq? 6? 12?
Non riesco a ricordarmi, non riesco a ricordare i passaggi esatti che ci hanno portato fino agli articoli nei giornali di oggi, perché esattamente scoppiano bombe e partono convogli, per dove? Ah Iraq, certo, ora inizio a ricordare qualcosa ma vagamente.
Ricordo discussioni infinite ad alti livelli, rotture all’interno dell’ONU, decisioni unilaterali e contrattazioni sottobanco per ricucire rapporti inevitabili, come quelli tra Francia, Germania e Stati Uniti- Ricordo dimissioni sensazionali e suicidi improbabili di ispettori americani che sapevano più di cò che potevano sopportare di fronte ad un’opinione pubblica viziata e isterica che ancora identifica Dio col presidente e difende gli attacchi alla santa patria USA a costo di cadere nella trappola di una guerra assurda.
Ricordo anche la noia dei dibattiti (?) parlamentari italiani dove la decisione di mandare o meno soldati italiani a “stabilizzare” l’Iraq del dopoguerra è servita una volta di più a pretesto per innescare i soliti balletti tra maggioranza e opposizione, o meglio, tra Berlusconi e il resto del mondo.

Mi viene anche in mente che di fronte a tutto questo battere di tamburi molte coscienze hanno taciuto, o forse non hanno mai saputo cosa; stava succedendo e lo spessore catastrofico delle prospettive future.
Abbiamo manifestato per la pace a la pace, per una serie di motivi che mi resta difficile mettere in fila, non c’é stata. Abbiamo assistito a bombardamenti e dichiarazioni su una guerra che sarebbe stata lampo e di lì a poco, al crollo delle statue di Saddam sparse in tutto il territorio iracheno, bandiere statunitensi issarsi con orgoglio per poi ricadere timidamente sotto i colpi di masse inferocite, davvero la gente non si accontenta mai di ciò che ottiene e forse non sa neanche ciò che realmente vuole. Da lì in avanti, il silenzio.
L’Iraq entra nelle nostre case con il quotidiano servizio lampo al telegiornale, più un necrologio che un servizio giornalistico, ma del resto che c’é da raccontare in più oltre ai morti che cadono?
Non é tanto notizia quanto abitudine, ci saremmo accorti se un giorno la TV avesse smesso di parlarne? sarebbe cambiato qualcosa nelle nostre vite se di punto in bianco l’Iraq fosse imploso sotto i colpi dei mortai americani scomparendo dalle mappe geografiche?
Immagino che il pubblico italiano (ho sempre qualche reticenza a parlare di “opinione pubblica”, di qualsiasi nazionalità essa sia) non sia tanto differente da quello Hondureño, gli istinti sono umani a prescindere dal continente nel quale si sviluppano. Immagino quindi che anche in Italia, come qua, le notizie dall’Iraq hanno iniziato ad appassionare (?) gli italiani dal momento in cui propri connazionali sono partiti per il fronte nemico e immagino anche che i notiziari si siano fatti più dettagliati nel descrivere lo stato quotidiano delle forze italiane in Iraq. O forse neanche questo, finché tutto procede per il meglio, finché non ci sono lacrime e sangue, un soldato resta un numero e i numeri non fanno notizia.

Oggi sembra che tutto sia cambiato, oggi la guerra in Iraq entra come uno schiaffo ben assestato e ci sveglia dal nostro innato torpore. Abbiamo le nostre vittime, più nostre dello stillicidio di americani dall’inizio del conflitto, più figli d’Italia di tanti altri nomi falciati ogni giorno nella follia medio orientale.
Oggi inizia anche per gli italiani la guerra in Iraq perché nei giornali non ci sono più cifre ma volti, ci sono storie che fanno venire i brividi, i morti hanno un nome, una famiglia , una missione e come capita a molti, sogni per il futuro che non conosceranno mai.
Oggi Rutelli dichiara che la missione in Iraq va ripensata, e Maroni rincara la dose contro le dimostrazioni di inciviltà ella sinistra.
Oggi si organizza il lutto nazionale, i giornali si riempiono di commoventi commemorazioni.
Oggi sappiamo che ricorderemo questa data e tutto ciò che é accaduto prima non avrà senso, sarà solo oblio. Non sto sollevando critiche, né indignandomi di fronte a una reazione di immacolato stupore che io stessa ho avuto quando ho saputo cos’era successo.

Quello che mi lascia perplessa e ancora di più, un pò indignata, é l’assurdità della situazione se osservata con una briciola di distacco. “Sono morti italiani in Iraq, tanti, mai cose tanti dall’ultimo conflitto mondiale, allora la guerra esiste, é davvero un flagello, ci tocca e fa stragi all’interno delle nostre case, allora siamo in pericolo, allora tutti gli italiani nel mondo sono in pericolo! ”
Buongiorno mondo, buon giorno cara Italia, ci sono voluti 20 morti e altrettanti feriti per farti aprire gli occhi sulla storia che sarà scritta tra qualche anno, ci voleva il sangue per farti vedere che nessuno é al sicuro di fronte alla follia, che non esiste antidoto nazionalistico che protegga da secoli di fatti accavallatesi in maniera così contorta da non ricordarne più la scintilla iniziale e che esplodono oggi sotto forma di terrorismi e rivendicazioni di estremismi religiosi.

Siamo come bambini, percepiamo la realtà solo quando ci tocca da vicino e impariamo a classificarla, a dargli un nome: gioia, paura, sofferenza, stupore.
L’esperienza é ciò che siamo, quello che capita agli altri non fa parte di noi finché non stravolge il corso delle nostre vite. A volte questo processo di apprendimento é evitabile, a volte potremmo guadagnare tempo e risparmiarci errori apprendendo dagli errori e dall’esperienza di altri.
Allora perché solo adesso ricevo lettere e telefonate dove mi si dice che “notizia terribile”, sono morti militari italiani in Iraq.
Perché non prima, quando cadeva sotto il peso di una bomba insulsa parte del palazzo dell’ONU e con esso l’ingenua certezza che esistessero dei limiti invalicabili alle strategie del conflitto iracheno. Perché non quando é stata colpita la Croce Rossa, diventando ormai chiara l’anarchia giuridica e sentimentale in cui le forze occidentali dovevano imparare a sopravvivere.
Capisco l’amor di patria, capisco l’identificazione con quei morti, la sto sperimentando io stessa proprio ora mentre scrivo. Ma esiste anche un “prima”, esistono anche altri morti con altre storie, gli americani piangono e percepiscono la pesantezza di questo conflitto da quando sono iniziati il dopoguerra e i tentativi di stabilizzazione. Non credo sia possibile ora stabilire i torti e le ragioni, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, la storia ha un margine di obiettività solo se chi la scrive non l’ha vissuta, bisognerà aspettare anni prima di poter mettere un punto sul capitolo Iraq 2003.
Non credo neanche sia utile interrogarsi ora se sia stato giusto o meno iniziare tutto questo processo esplosivo.

Oggi, nel presente, siamo arrivati ad un punto in cui andare avanti é inevitabile perché tirarsi indietro senza logica e senza ordine vorrebbe dire rendere vano tutto ciò che é stato fatto fìn’ora.
Esistono però diversi modi di andare avanti e più i cittadini delle nazioni coinvolte si sentono parte del conflitto più la loro posizione avrà un peso nelle decisioni strategiche di alto livello, sia esso anche solo psicologico.
Sono morti degli italiani, da oggi per l’Italia esiste una guerra in atto. Mi chiedo per quanto tempo questa ferita resterà aperta e come questo cambierà la nostra – italianocentrica - percezione del mondo esterno. Forse ci servirà a renderci conto che, per quanto importante sia la dimensione individuale della nostra quotidianità, esistono sempre, in ogni istante, eventi che superano la realtà circoscritta del nostro paese, del nostro quartiere e che vanno ad influire in maniera definitiva sulle decisioni che potremo, o dovremo, prendere in futuro.

L'ANGOLO DI LETIZIA - a cura di portorecanatesi.it