Risposta alle considerazioni di Aurelio Bufalari

sulla recensione "Imperialismo dei diritti umani"

di Donato CAPORALINI

 

Sia detto senza alcuna intenzione polemica, ma ho la sensazione che Aurelio Bufalari confonda alcuni concetti, finendo per avvolgersi in contraddizioni delle quali resta prigioniero.

Provo a spiegarmi, cogliendo l’occasione che mi viene offerta per ampliare la riflessione sulla questione cruciale della guerra e della pace oggi.

  Kant testa all’ammasso

 Se non ho capito male, secondo Bufalari Kant – che “sognava una repubblica federativa mondiale” e che osò affermare che “nessun sopruso perpetrato a danno dei diritti fondamentali dell’uomo, attuato in un qualsiasi punto della terra, avrebbe mai più lasciato nell’indifferenza gli abitanti responsabili del mondo”- andrebbe considerato tra i fautori della guerra umanitaria, cioè della guerra condotta per imporre ad uno Stato sovrano, il rispetto dei diritti umani dei propri cittadini, sul modello della guerra combattuta contro la Repubblica federale di Jugoslavia nel 1999.

Se questa interpretazione del suo pensiero è corretta, temo che Bufalari si sbagli di grosso riguardo a Kant.

A parte alcune imprecisioni che tralascio, il fatto è che la federazione di Stati di cui parla Kant ha lo scopo di impedire per sempre il ricorso alla guerra –  espressione dell’assenza del diritto nei rapporti internazionali – e di instaurare invece una comunità giuridica, cioè un ordinamento antitetico alla guerra.

Scrive infatti Kant: “Il diritto internazionale come diritto alla guerra non è propriamente concepibile (poiché dovrebbe essere un diritto di determinare ciò che è giusto non secondo leggi esterne universalmente valide, limitanti la libertà di ciascuno, ma secondo massime unilaterali per mezzo della forza.” (Per la pace perpetua)

La guerra, insomma, è lo stato corrispondente all’assenza di leggi che caratterizza i rapporti tra gli stati storicamente dati, ma è destinata a estinguersi nel momento in cui si affermerà un ordinamento giuridico.

Quanto poi a fare di Kant il fautore di una concezione universalistica dei diritti umani in tutto conforme a quella in voga oggi, penso che gioverebbe una maggiore cautela, poiché il diritto cosmopolitico di cui parla Kant si limita alla sola condizione dell’universale ospitalità, che significa in definitiva il diritto di visitare uno stato straniero, e di essere accolto come coabitante; al diritto di visita corrisponde poi il dovere di colui che è ospitato a non cercare di sottomettere il paese visitato.

Semmai, è il neokantiano Hans Kelsen che ponendo come premessa l’esistenza di un fondamento giuridico oggettivo e universale, sovraordinato agli ordinamenti statali, considera il diritto internazionale non dipendente da autoobbligazioni definite da accordi contrattuali tra stati sovrani, ma, al contrario, come il parametro di validazione della legittimità degli ordinamenti giuridici interni.

Da queste premesse discendono come inevitabili conseguenze:

  1. l’uguaglianza formale dei singoli stati;

  2. il carattere giuridico dell’ordinamento internazionale, in quanto capace di emanare norme che consentono di discriminare l’uso legittimo della forza da parte di uno stato;

  3. la rivalutazione del iustum bellum (in contrasto con la tendenza che si è affermata con il diritto moderno a partire anche dal nostro Alberico Gentili);

  4. l’elevazione dei singoli individui al rango di soggetti di diritto internazionale.

Per Kelsen la guerra può rappresentare uno strumento coercitivo per sanzionare la violazione del diritto oggettivo, soltanto nella condizione imperfetta in cui versa la comunità internazionale, priva di un’organizzazione in grado di far valere i principi giuridici universali. Infatti, solo la creazione di un’istanza giudiziaria imparziale può garantire la giustizia e conseguentemente la pace.

In "Peace through Law", appunto, Kelsen propone la costituzione di una lega  permanente che istituisca un corte di giustizia internazionale competente verso tutti gli stati.

Il pacifismo giuridico di Kelsen si fonda, quindi, sul primato delle istituzioni giudiziarie rispetto a quelle politiche (il consiglio di sicurezza dell’ONU), che egli ritiene incapaci di garantire per la loro stessa natura l’imparzialità necessaria.

Che cosa hanno in comune le complesse e tormente riflessioni di Kant e Kelsen con le teorie della guerra a fini umanitari? Ben poco, io credo.  È troppo evidente, infatti, che le operazioni di ingerenza umanitaria fino ad ora realizzate siano state condotte per ben altri scopi, e , soprattutto, al di fuori di qualsiasi procedimento in grado di garantire imparzialità e indipendenza di giudizio da parte di organi giuridici aventi competenze nei confronti di tutti i soggetti internazionali.

Se si vuole verificare il fondamento di questo giudizio, basti considerare il destino al quale la frenetica attività di sabotaggio dell’amministrazione statunitense sembra condannare la Corte penale internazionale permanente istituita con il trattato di Roma.

Marx testa all’ammasso

 Anche in questo caso – mi pare di capire – per Bufalari ci troveremmo di fronte ad un fautore della dottrina dei diritti umani, magari imposti con la guerra.

Ma se è così che la pensa Bufalari, l’equivoco è in questo caso ancora più grosso.

Infatti, il problema per Marx non è affatto quello di estendere il diritto borghese – che in quanto fondato sulla separazione tra società civile e comunità politica non fa che perpetuare l’ ineguaglianza e lo sfruttamento, nascondendoli sotto l’uguaglianza formale –  ma quello di attuare una rivoluzione dei rapporti sociali di produzione, la sola capace di liberare l’uomo dalla sua condizione di alienazione.

Scrive infatti Marx (“Sulla questione ebraica): “Con l’annullamento politico della proprietà privata non solo non viene soppressa la proprietà privata, ma essa viene addirittura presupposta. Lo Stato sopprime nel suo modo le differenze di nascita, di condizione, di educazione, di occupazione, dichiarando che nascita, condizione, educazione, occupazione non sono differenze politiche, proclamando ciascun membro del popolo partecipe in egual misura della sovranità popolare, senza riguardo a tali differenze, trattando tutti gli elementi della vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato. Nondimeno lo Stato lascia che la proprietà privata, l’educazione, l’occupazione operino nel loro modo, cioè come proprietà privata, come educazione, come occupazione e facciano valere la loro particolare essenza. Ben lungi dal sopprimere queste differenze di fatto, lo Stato esiste piuttosto soltanto in quanto le presuppone (…) Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l’uomo non conduce soltanto nel pensiero, nella coscienza, bensì anche nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si afferma come comunità, e la vita nella società civile nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzo”

Altro che “diritti materiali” da esportare.

Che poi Marx fosse “ un hegeliano per il quale conta solo l’Idea”, …beh!!

  Bobbio testa all’ammasso

Bufalari non ha tutti i torti, invece, a proposito di Bobbio, il quale, dopo aver sostenuto – negli anni settanta – che per realizzare il diritto internazionale pacifico è necessario che gli stati sottoscrivano sia un pactum societatis che un pactum subjectionis,  così da permettere la regolazione coattiva delle controversie e garantire la pace, in occasione del primo conflitto del Golfo ha invece affermato che una guerra può essere giusta se essa è legale, cioè conforme alla Carta delle Nazioni Unite. Successivamente, in occasione della guerra in Kosovo, ha sostenuto che il diritto internazionale viene modificato dai comportamenti dei soggetti, i quali definiscono attraverso la prassi un nuovo canone di legalità. Il che sana la difformità della condotta seguita in entrambe le occasioni rispetto alle disposizioni degli articoli 42  e 43 della Carta ONU (un ragionamento analogo andrebbe applicato anche alle norme contenute nel trattato atlantico, e in particolare all’articolo 5, in violazione del quale la NATO ha condotto varie operazioni belliche tra cui appunto i bombardamenti sulla RFJ)

 In ogni caso non era certo a Kant, Marx o Bobbio che pensavo quando scrivevo di cervelli portati all’ammasso. Mi riferivo piuttosto alle folle di individui che si rifiutano o non sono in grado di esercitare le capacità critiche, di cui pure dispongono, se le applicano a questioni di carattere politico (penso che andrebbe riconsiderato ciò che al riguardo scrive quel vecchio conservatore, poco simpatizzante della democrazia che è Schumpeter) Ciò avviene, è vero, anche perché moltissimi individui sono totalmente sprovvisti delle informazioni necessarie per formarsi un’opinione motivata.

È vero, come scrive, Pierre Bourdieu che “di tutte le forme di persuasione occulta la più implacabile è quella che si esercita attraverso l’ordine delle cose” e che non vi è stata forse mai prima d’ora un’epoca nella quale l’ordine delle cose sia apparso così universalmente categorico come quello nel quale viviamo oggi, sia sul piano socio-economico, che su quello della produzione teorica e dei rapporti di forza politici; ma tutto ciò non assolve però, a mio avviso, l’entusiastica accettazione di ogni menzogna che contraddistingue il comportamento di tanti.

Vogliamo fare un esempio che abbia attinenza con il nostro argomento principale?

Prendiamo la questione della guerra con l’Iraq. Mentre da alcuni mesi gli USA e la Gran Bretagna dispongono alcune decine di migliaia di soldati ed enorme quantità di armi ai confini dell’Iraq, continua la recita ipocrita quotidiana di quanti parlano di “venti di guerra”, di ispezioni , di deterrenza nei confronti di Saddam.

La guerra ci sarà comunque, lo sappiamo tutti, perché essa corrisponde al disegno geopolitico degli USA in Eurasia.

Che cosa c’è di più umoristico, l’amministrazione USA dimostra in questo campo uno straordinario talento, di una coalizione guidata dalla più grande potenza militare di tutti i tempi, che dispone di armi micidiali (dichiarando di essere disposta ad utilizzare anche la bomba atomica), e di basi tutt’attorno all’Iraq, mentre il suo territorio si trova a migliaia di chilometri di distanza, la quale si presenta come il paese aggredito?. Mentre l’Iraq, che ha perso disastrosamente una guerra già dieci anni fa, è sottoposta da allora ad un feroce embargo che ha già provocato la morte di mezzo milione di donne vecchi e bambini, a cui non è permesso di vendere il proprio petrolio, se non in misura ridotta e comunque in cambio di cibo attraverso la mediazione di un’agenzia ONU, e il cui territorio è per due terzi sottratto alla sua sovranità, in quanto sottoposto al controllo aereo permanete degli USA e della Gran Bretagna (che ogni tanto lo bombardano), sarebbe invece l’aggressore

E credere a questa ricostruzione non sarebbe rivelatore del fatto che il proprio cervello è stato conferito all’ammasso?

Oltre che il proprio, questo potere fa con tutta probabilità anche il nostro comodo.

Su questo Bufalari ha ragione.

Pur vivendo nella provincia dell’Impero godiamo dei vantaggi (benessere materiale e non solo) di questa situazione.

Ciò non toglie, però, che questo comodo anche nostro sia (e penso naturalmente ai dannati della terra, ai bambini dei paesi del terzo e quarto mondo, per i quali la vita è “una faccenda breve, sporca e brutale”) una cosa moralmente ignobile.

 

 

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