Le vele.


Le barche dei pescatori come i nobili alzano una insegna, la vela colorata con l'emblema della famiglia: la mezzaluna, una croce, la stella, il sole, il delfino, il drago, la spada, l'Angelo Gabriele, ecc., di diverso colore su fondo arancione, spesso con i segni dell'araldica (palle, bande, galloni) ed una scritta ben pitturata in campo bianco sotto un triangolo apicale di colore diverso, spesso rosso.


Giallo Rosso Azzurro e Verde.

La gamma dei colori che appaiono sulle vele adriatiche seguono un preciso campo cromatico; «la tecnica di colorazione si basava sull’uso di terre colorate reperibili sul mercato, ancora in tempi recenti, nei colori: giallo, rosso, marrone, blu e nero con la possibilità di ottenerne altri per mezzo di mescolanze.
Nell’intera area dell’Adriatico erano presenti sulle vele i seguenti colori: giallo in due tonalità (giallo chiaro e giallo ocra), il rosso in due tonalità (rosso vivo e rosso ruggine),
l’azzurro (anch’esso nelle due tonalità dell’azzurro e del blu), il verde, il marrone e il nero.

Ma i colori del mondo della costa si presentano e giungono alle vele, e da queste ritornano, dopo aver colorato case, indumenti, carri. Giallo, rosso, azzurro (indaco), e verde sono i colori della solarità che scandiscono sul porto, nel borgo di pescatori e su imbarcazioni e vele, una soluzione di continuità della linea uniforme della costa per chi osserva dal mare e di quella dell’orizzonte marino per chi osserva da terra.
Se l’esperienza contadina posa i propri colori (prevalenti il verde scuro, il marrone, il nero, l’azzurro, minor spazio al verde chiaro, lasciando al rosso il compito della difesa magica) su qualche attrezzo privilegiato, qualche mobile e cassa dotale, e se l’artigiano ostenta il colore sulla propria insegna, il marinaio di colore veste il proprio ambiente.
Oggi i colori non si sono attenuati, solo non trovano più gli spazi privilegiati di un tempo, non si presentano a coprire ampie superfici, ma sono limitati agli oggetti d’uso.
I colori della solarità lasciano il campo alla uniformità e alle desiderabilità di costume perché non esiste più il bisogno di marcare una identità familiare o personale, una presenza.
Un colore netto è una dichiarazione d’identità in un ambiente nel quale "essere al mondo" era sovente messa a dura prova.


 

La suggestione, il senso magico dell’avvenimento, attraevano a tal punto l’attenzione di chi si trovava sull’arenile che gli stessi «scalanti» spettatori da sempre, ne restavano, ogni volta, affascinati. Le figure delle donne, nei loro tradizionali vestiti, si stagliavano nere, fisse, nitide, contro l’orizzonte violaceo che ogni alba ed ogni tramonto sanno creare in quella striscia di cielo interrotta soltanto dal massiccio sperone del Cònero. Donne in ansia per la partenza ed in felice attesa per il ritorno, sempre lì, con le loro «pagnerine» appoggiate ai fianchi, disposte anche a spingere la «stanga dell ‘arghenu» se ce ne fosse stato bisogno. Erano le vele, con i loro caldi colori che creavano la suggestione, che si moltiplicavano riflettendo il loro giallo-oro, sull’acqua del mare.


I vecchi lupi di mare avevano creato la combinazione delle terre per ottenere quei colori tramandandone ai loro figli il segreto, terre sapientemente mescolate per ottenere quel tipo particolare di arancione che in perfetta sintonia con l’azzurro del mare ed il celeste del cielo crea, da sempre, magiche atmosfere.
Le donne preparavano le strisce «de cuttò», di tela, «le sferze» poi gli uomini provvedevano ad unirle forzando gli aghi con «el guardamà» (un mezzo guanto rinforzato da una striscia di metallo, che ne facilitava la cucitura).
«Quadrellu» questo era il nome dell’ago.
Poi, ai bordi della vela, per renderli semirigidi, mettevano due corde, una più sottile, «el merlì», inserito all’interno dell’orlo, e «la sèrsena» molto più erta, cucita nella parte esterna dell’orlo.


Le vele nascevano, sotto le loro abili mani, assumendo forme trapeziodali, perfette, proporzionate, riducibili in caso di necessità in forme più piccole, con i «terzaròli». L’angolo alto, «el ventamu» era quello che richiedeva le cure maggiori perché doveva sostenere il peso maggiore e perché resistesse maggiormente.




tratto da: « Fratelli della costa. L'uomo in mare nell'Adritico del centro-nord. ( edizioni: Edit Faenza - dicembre 1994 )
« C'era 'na ô » di Emilio Gardini ( Edizioni Tecnostampa Recanati - dicembre 1994 )