Arti, mestieri e venditori vari.


Al Porto esisteva una corporazione di arti e mestieri che aveva il compito di agevolare le varie categorie operanti nel settore attraverso prestiti, riduzioni del costo delle materie prime e soprattutto sostenendo le giuste rivendicazioni con interventi a difesa del lavoratore quando questi erano minacciati.
Molte erano le persone che operavano nei vari settori artigianali ed i più appartenevano al mondo della pesca.

Sulla base del Censimento del 1901 - 1911, questa era la consistenza delle Arti e Mestieri al Porto:
399 artieri; così suddivisi:
• 71 falegnami
• 108 sarti, sarte e cucitrici
• 37 fabbri ferrai e calderai
• 30 osti e caffettieri
• 34 calzolai
• 29 negozianti e rivenditori
• 13 muratori
• 10 funai e canapini
• 5 barbieri
• 6 macellai
• 27 vetturini
• 20 mugnai
• 2 pittori decorativi
• 1 seggiolaio, orologiaio



• El ferà ( il fabbro ferraio )
Il suo compito specifico era quello di forgiare tutti gli attrezzi di ferro delle barche e degli accessori per la pesca.


• El Retante
Non c’era rete in mare che non fosse uscita dalle sue magiche mani che ripercorrevano con la lenguetta», una specie di ago gigante generalmente di legno, antiche trame già segnate dalle mani dei suoi avi ed a lui tramandate in gran segreto.
«El retante» trascorreva la sua giornata tenendo su una mano «el murellu», la misura base, che era di canna se la rete era fitta, cioè di maglia piccola.
Per la rete più grande, «a maja lasca» si usava un tubo di diametro maggiore.
La sua azione oltre che di costruzione, poteva essere anche di recupero della rete, attraverso la «remacchiatura».


• El Canepì
Tutte le corde delle imbarcazioni erano di canapa e l’artigiano che svolgeva questo lavoro veniva appunto chiamato «canepì» perché lavorava con quaesto materiale. Questo si avvolgeva un’enorme matassa di canapa attorno ai fianchi poi ne agganciava il capo ad una piccola ruota collegata, a sua volta, ad una grande ruota per mezzo di un cavo. Un ragazzo o una donna, a braccia, facevano girare la grande ruota.
La canapa, avvolgendosi, prendeva la forma di un filo, mentre «el canepì», camminando all’indietro, percorreva l’esatta distanza della lunghezza del filo.
Per dare poi corpo alla corda univa in un composto unico più fili alle altre ruote, sistemate su una grossa tavola di legno, all’inizio del percorso.


• El Calafatu
Il nome deriva dalla funzione stessa che compie l’artigiano che è appunto quella del calfataggio della barca.
Muniti di un mazzolo, di stoppa e striscioline di legno che incuneava nella fenditura della barca per mezzo di uno scalpellino di ferro. Terminata l’operazione di stuccatura passava sopra una consistente strisce di catrame.
Il lavoro di impermeabilizzazione veniva completato dalla successiva estensione nella zona di un leggero strato di pece.
Per eseguire questo lavoro la lancetta veniva inclinata in un lato oppure gli scalanti facevano una buca sulla sabbia, sotto l’imbarcazione ed il calafato si calava dentro per lavorare sulla banda dello scafo.
C’è un detto popolare che suona così: «Carpegà acqua me dai e acqua fai».
Carpegà era il padrone della barca ed al calafato, intento ad impermeabilizzare gli interstizi, dava soltanto acqua da bere anziché vino.
Il calafato sopportò l’affronto ma «la barca de Carpegà» fece sempre acqua.


• El Calderaru
L’uso del rame era molto diffuso a Porto Recanati e sulla "rola" c’era sempre un «caldaru» ricolmo d’acqua per ogni occasione.
Sulla «scaffetta» brillavano sempre di un rosso vivido le varie «cazzarulette» appese, ripulite con sabbia ed aceto dalla brava purtannara.
Autore di queste batterie stupende era «el caldararu», l’artigiano del rame che le riparava o le costruiva con una pazienza certosina, ricamandole ai bordi con «greghe» e disegni particolari.


• L’Umbrellaru
Quando arrivava l’ombrellaio c’era attorno a lui un nugolo di bambini che curiosavano nella sua cassetta di legno che, ad ogni sosta, dalla sua spalla sinistra, depositava in terra.
Una cassetta piena di tutto.
Le sue abili dita aggiustavano ombrelli rotti e vecchi oppure piatti «terine e fiamenghe».
Per questi ultimi, dopo averne bucato i lembi rotti con una punta fina, di un rudimentale trapano, li univa con fil di ferro sottile o con una particolare colla fatta in casa con una formula segreta tramandata di padre in figlio.


• El Scalante
Lo scalante era colui che aveva l’incombenza di preparare lo scalo della lancetta.
Il mare, spesso, creava sulla battagia un cumulo di sabbia e sassi che costituiva un serio ostacolo all’imbarcazione nel momento dell’alaggio o della partenza.
Lo scalante, con la sua pala e la forza delle sue braccia, eliminava il dislivello e disponeva con cura e precisione «le palanghe» sulle quali poi scorreva la lancetta. Le ungeva con «el segu» per rendere più facile il lavoro degli addetti alla stanga dell'argano.
Lo scalante aveva un modesto compenso per il suo lavoro ed un pò di pesce quando la barca tornava a terra.


• Lo straccivendolo
Passava di casa in casa a raccogliere stracci e roba vecchia che poi aggiustava per rivendere.
Il suo grido abituale, con il quale segnalava il suo passaggio «tra i viguli» era: «Stracci, ramacci e feri vecchi».


• Il Venditore ambulante
Una volta, in assenza di negozi specifici c’era una persona che passava con un carretto pieno di ogni roba: «Aghi, spille, specchi, per i giovani e per i vecchi, pettine e pettinine...» e così via snodando la sua filastrocca ed elencando tutti i pezzi contenuti nel «cariolu».
Il suo passaggio era un gran motivo di festa per i curiosi e per i bambini che provavano un’attrazione particolare verso quel carro pieno di tante cose misteriose per loro.


• La Venditrice di «Ricuttò»
Era una donna che passava di vicolo in vicolo con le sue ricotte a forma circolare, ricavate dal latte di pecora dai contadini vicini al paese.
Al grido di «Ricuttòòò, ricuttòòòò» le donne accorrevano ed acquistavano queste ricotte avvolte in una foglia di fico.


• Il Venditore di «Varichina».
«Varechina, varechina» era il grido di battaglia del «Garibaldi» di casa nostra.
È incerta l’origine del suo soprannome, che molto probabilmente risale a qualche suo antenato garibaldino, ma il personaggio era conosciutissimo.
A bordo della sua bicicletta vendeva la più classica candeggina in ogni casa del Porto.


• La Materazzara
Niculina de la Mbrellina era tra le più rinomate «materazzare» portorecanatesi.
Altrettanto nota era Maria de Jacó, o la Jacóna, o Maria de Campanella.
Per molti anni queste donne sono entrate in tutte le case di Porto Recanati perché esperte nell'arte del materasso. In occasione dell’arrivo dei «signori» che venivano a villeggiare nella spiaggia del Porto le donne erano solite rifare «el matarazzu».
Loro provvedevano a «scucire» la tela che conteneva la lana, poi lavavano i grandi fiocchi e li «spannéne la sole».
Quando la lana era asciutta veniva «capàta» e così era pronta per essere di nuovo sistemata «nell’intima» dalle mani esperte e dal lungo ago della «materazzara» che lo divideva in tante parti regolari e ben gonfie. La «matarazzara» lavorava tutti i giorni meno che il martedì ed il venerdì rispettando un antico proverbio che dice: «ne di venere, ne di marte, non si sposa e non si parte»
Nel materasso della sposa metteva un santino rappresentate la «Sacra Famiglia».


• El Sartu da donna e da omu.
Le ragazze facevano cucire i loro vestiti dalla varie sarte mentre gli uomini si servivano dai sarti che erano in numero maggiore.
Tra le sarte restano famose Pasqualina del Capricciu e Giuanna de Marcuaroli, quest’ultima cuciva anche per gli uomini.
Tra i sarti più noti di Porto Recanati si ricordano, Giuacchì (Zazzetta), AMilcare (Caporalini), Pinu (Campolo), Socci, Cappelletti, Picciò.


• Nannò e le «Concule»
«1 carioli» hanno visto «alla stanga» sempre delle purtannare, famose venditrici di pesce ed agrumi in ogni paese circostante. Il solo uomo che ne affrontò la concorrenza fu «Pasquali de Nannò» che al grido di
«La cuncolona frescaaaa» vendeva vongole in ogni angolo di Porto Recanati.

• Stamira vendeva Gratis
Molti portorecanatesi ricordano la figura mitica di una venditrice di pesce a nome Stamira.
Una vita passata alle «stanghe» del carrettino, una vera istituzione cittadina.
Il suo richiamo era irresistibile: «A uffa, ve lu dagu a uffa» e cioè «Vi regalo il mio pesce, lo vendo gratis».


• Nella bottega del Calzolaio
All'interno del territorio urbano erano attivi diversi Calzolai ed era frequente vederli lavorare all'esterno della bottega, così come succedeva anche per altri Artieri del Porto. Gli attrezzi indispensabili per svolgere il lavoro ad opera d'arte erano:
Forma in ferro per stivali - Bisegoli lisciatori - Forme in legno - Chiodini - Martelli - Tacchi in gomma - Forma in ferro a tre piedi - Pennello - Mastice - Lesine con corredo - Flacone di tintura per pelli - Forbici - Spazzole - Lucido per scarpe - Raspa - Pece - Gomitolo di spago - Setole con spago - Fustellatrice - Ruotino marcapunto - Compasso - Cera colorante - Candela - Ferri passacera - Calamita - Trincetti - Pietra affilatrice



tratto da: « C'era 'na ô » di Emilio Gardini ( Edizioni Tecnostampa Recanati - dicembre 1994 )