La libertà e i suoi limiti.

| di Aurelio Bufalari | Inserito il 09/10/2012 | Stampa
Ogni tanto mi faccio vivo su questo sito, ma più per consuetudine che per il piacere di apparire.
Non nascondo che ogni tanto – forse una o due volte l’anno, nella migliore delle ipotesi – mi piace dire la mia, in tal senso incoraggiato anche da amici molto più avvezzi di me a scorrazzare su internet pur senza aver prima assunto la necessaria dose di vaccino contro i virus che infestano la “rete” per antonomasia.
Spesso ci chiediamo, con questi amici, se internet in generale sia civilmente libera oppure soltanto deontologicamente anarchica.
In questo secondo caso, internet non rispecchierebbe per niente il mio concetto di anarchia, che è legato al massimo grado di libertà individuale acquisito non per improvvisa generosità tecnologica ma come risultato di uno sconfinato e costante progresso civile e antropologico – cosa peraltro assolutamente utopica.
Ma nemmeno il primo caso mi convince, perché allo stato attuale della civiltà dell’uomo la libertà assoluta non è nemmeno concepibile.
È del tutto evidente, quindi, che posta in questi termini la domanda sulla libertà di internet sia suscettibile di restare sommersa da una infinità di risposte, tante quanti, cioè, sono gli abitanti della terra.
Allora, di che genere di libertà si deve parlare senza dover coinvolgere tutto il mondo?
Per quel che mi riguarda chiamerò in causa una sola persona: Norberto Bobbio. Il quale, dopo quasi un secolo di riflessioni sull’argomento, arrivò alla più lapalissiana ma anche più convincente delle conclusione: essere liberi equivale a non essere impediti di fare ciò che si desidera e non essere costretti a fare ciò che non si vuole.

Questo in linea di principio, perché di fatto in un sistema di relazioni “la libertà di uno deve trovare il suo proprio limite là dove inizia la libertà di un altro”. Il che comporta che lo stesso esercizio della libertà debba essere sottoposto a regole, e proprio sulla necessità e sulla cogenza delle regole nasce il mio dissenso da Bobbio. Il quale parte dal principio, e vi resta ancorato, che fosse meglio una libertà a rischio ma in espansione che una libertà protetta ma contratta, con ciò intendendo dire che dovevano essere ammessi al gioco della democrazia anche quei giocatori che non ne avrebbero rispettate le regole.
Come dire che se vinci tu torneremo a votare quando è previsto, ma se vinco io non si voterà più.

Può funzionare una democrazia del genere? Qui non si tratta di una libertà a rischio, ma di una libertà programmaticamente negata.
Anch’io penso che ognuno debba essere sì libero di fare e di esprimersi come vuole, ma all’interno di un sistema di regole condivise.
Niente rispetto delle regole niente ammissione al gioco. D’altronde, democrazia è non già chi deve comandare, ma come deve comandare in base ad una legge fondamentale dello Stato.

Ma è tempo di tornare senz’altro alla domanda iniziale: internet deve essere assolutamente libera? La risposta è sì, ancora una volta, ma soltanto nel rispetto di regole condivise e soprattutto cogenti dal punto di vista giuridico.
In internet vediamo e leggiamo ciò che ci viene propinato senza conoscerne il livello di attendibilità; in internet può esprimersi anche gente senza nome e senza volto alla quale è impossibile chiedere conto di ciò che dice.
Il che potrebbe anche non avere soverchia importanza se non fosse perché spesso discorsi, valutazioni ed eventualmente maldicenze – per non dire peggio – sono diretti contro persone terze.

Il fatto è che non dovrebbe essere consentito a nessuno e in alcun modo parlare delle persone, specialmente se chi parla non dà garanzie di essere chi dice di essere o se addirittura compare come “anonimo”.
I galantuomini – dicono gli inglesi – parlano delle cose, non delle persone. Chi garantisce che tutto ciò avvenga? Sai – dice il giustificazionista – la rete è così, che spesso non sai chi parla e quando lo sai non è certo che sia veramente lui.

Ecco un buon motivo per chiuderla, dico io, se chi ne gestisce pezzi non è in grado di garantire un minimo di igiene del discorso.
A prescindere dal male procurato agli altri, che qualcuno abbia la possibilità di parlare a sproposito e senza museruola potrebbe risultare per lui addirittura terapeutico, ma non firmarsi è come alimentare viepiù una latente nevrosi, è come non aver mai parlato.
A meno che il suo unico scopo non sia quello di parlar male delle persone. E allora, questi cattivi vicini di casa dovrebbero avere ogni volta non già un invito a cena, ma la porta sbattuta in faccia.
Portinaie, orsù, datevi da fare.

Aurelio Bufalari | Edit: 09/10/2012 | Stampa