Anzichè parlare di lavoro ci dividono sui campanili.

| di Antonio Monaldi| Inserito il 09/08/2012 | Stampa
Chiunque abbia operato nel territorio e ne conosca pregi e criticità non può non considerare “criminale” il fatto, che un decreto di spesa, possa riordinare l’ area vasta. La procedura, quella sulle province intendo, rischia persino di distruggere delle identità territoriali e delle comunità che spesso si sono costruite e sono cresciute nel corso di un secolo e mezzo di storia. Come si può con decreto “centralistico”, su cui difficilmente si potrà mediare, disgregare territori spesso fortemente omogenei che, hanno costruito nel tempo, una organizzazione istituzionale e servizi la cui dissoluzione comporterebbe un altissimo costo sociale per intere comunità? Nello specifico ritengo si debba intervenire con apposite e unitarie iniziative.

Invece di ragionare su una nuova e moderna architettura istituzionale dello Stato, che non deve necessariamente coincidere con la Provincia, (ancora nel 2006 il governo Berlusconi ne ha istituito di nuove) si impone, con decreto tecnico, la soppressione e/o loro fusione. Sembrerà assurdo ma saranno le stesse forze politiche che a Roma hanno votato la fiducia a Monti, a cercare, in periferia, nei collegi elettorali, di cavalcare “campanilismi e provincialismi”.
Ci si propone solo di costringere l’opinione pubblica a parlare di altro? Si desidera unicamente prospettare nuove articolazioni per continuare a mortificare i territori? Non è stato sufficiente consentire di ridurre il peso del Parlamento? Non si è mortificata la democrazia diretta prevedendo elezioni di 2° grado e facendo assumere provvedimenti che hanno limato in modo significativo il numero dei consiglieri negli Enti Locali pressoché ridotti a Consigli di amministrazione? Non sanno forse anche i neonati che un intero Consiglio Provinciale e dieci Consigli Comunali costano al bilancio pubblico, annualmente, quanto un eletto in Regione o nominato in Parlamento? Importa tutto questo a che ci governa?

I partiti a sostegno di Monti sembrano capaci unicamente di favorire l’ antipolitica e di divaricarsi, sul serio, esclusivamente sulle regole elettorali “maggioritarie”. Quelle regole, per intenderci, che dovrebbero servire a far ”ingrassare” oltre misura le più “obese” forze politiche. Per tutto questo ritengo che anche la partita che si gioca sulla pelle viva del territorio dovrà servire a far comprendere agli elettori che finora, sui provvedimenti concreti, gli esponenti della larga maggioranza, non sono stati capaci, a Roma, di significativi distinguo.
Per essere credibili nel territorio bisogna prendere le distanze dai propri partiti se si ritiene, davvero, che un decreto di riduzione di spesa non possa riordinare l’ area vasta che deve essere governata secondo criteri omogenei, perché ci sono delle competenze troppo grandi per i singoli Comuni e troppo piccole per le Regioni.
Credo che con il proliferare di comitati, gruppi di pressione locale o territoriali, secondo il tornaconto elettorale nei collegi, non si farà che produrre altra sfiducia nelle istituzioni. Alcune iniziative, seppure legittime e condivisibili, sembreranno dettate dalla difesa della “cosiddetta casta” per le poltrone e chissà quali “lauti” rimborsi.

Rincorrendo lo spread e i mercanti dei mercati continueranno, piuttosto, a farci piangere addosso. Altro che la necessaria revisione della spesa! Finiranno per far approvare di tutto invece di dare una risposta ai lavoratori, ai pensionati ed esodati, precari, disoccupati, ai milioni di italiane e di italiani che le politiche recessive e neoliberiste impoveriscono fino a condurre alla esasperazione. Ed intanto il “pensiero unico” (da almeno un ventennio), per il tramite il governo dei tecnici e grazie l’ appoggio della larga maggioranza, è riuscito a far credere a milioni di persone che la situazione è talmente grave che bisogna solo subire le loro ricette in cui, ai primi posti, figurano la riduzione del peso dello Stato e del mercato del lavoro.

Occorre mettere in agenda soluzioni alternative all’ austerità (come si stanno proponendo in Francia) per contrastare la più grave crisi del capitalismo ed uscirne da sinistra attraverso la redistribuzione del reddito, lo sviluppo sostenibile, l’ occupazione e i diritti del lavoro. Si deve, altresì, provare a dimostrare di essere in sintonia con altre forze progressiste europee per un vero cambiamento.
La sinistra “che vuol essere tale”, inoltre, deve agire il più possibile unita dando speranze e certezze. Dare, infine, la massima concretezza al proprio progetto costruendo un polo che, se parte dal basso, può risultare molto credibile.
Nei territori potremo così fornire sicuramente un grande contributo.


Antonio Monaldi | Edit: 09/08/2012 | Stampa