Perchè si debbono amare gli animali.

di Aurelio Bufalari - Inserito il 15 Aprile 2012

Prima di dire perché si debbono amare gli animali, dirò perché io li amo.
Perché sono soli e indifesi; perché nella loro assoluta sregolatezza – un pregiudizio bell’e buono – sono gli esseri più disciplinati che esistano; perché sanno soffrire e morire senza chiedere niente a nessuno e soprattutto perché non hanno saputo inventarsi un dio che li preservi dal nulla eterno.
Una empatia totale, come si vede, che i cosiddetti filantropi vorrebbero fosse invece riservata soltanto agli esseri umani. Se non fossero stati affermati i diritti della quarta generazione, che competono ad ogni essere capace di sofferenza, li avrei inventati io stesso.
I filantropi dicono però che gli animali non hanno né intelletto né autocoscienza, ragion per cui ogni tentativo di assimilarli agli esseri umani deve essere rigettato e condannato; e che se anche provochiamo loro tutte le sofferenze possibili non è il caso di sentirsene in colpa.
Ogni sentimento di “solidarietà” nei loro confronti sarebbe dunque sprecato, essendo l’uomo il re del creato e a lui dovendo riservarsi ogni attenzione d’amore. Che un re debba essere fatto oggetto di attenzione solidale sarebbe già un ossimoro in sé, ma siccome non nutro pregiudizi nei confronti di alcuno accetto anche questa enormità.
Eppoi, dice il filantropo, gli animali sono feroci, si sbranano tra loro e quando capita riservano lo stesso trattamento all’uomo senza soffrire rotture coscienziali: come nutrire simpatia nei loro confronti?

Ma il filantropo finge di non sapere che l’animale feroce si sazia con il sangue di uno, mentre all’uomo – soprattutto morale – non basta il sangue di tutti. La storia ci ha infatti insegnato essere la morale ad innalzare forche e ghigliottine, non la fame. Ma torniamo all’inizio, quando si diceva che gli animali non hanno il dono dell’intelletto.
Che è una facoltà eminentemente umana, per la quale le persone si distinguono tra loro a seconda del modo di ragionare. In soldoni, le categorie intellettive più diffuse sono quattro: il matto, il cretino, l’imbecille e lo stupido, ognuna con diversa evidenza. Il matto dice di essere Napoleone, e non c’è quindi pericolo che non lo si riconosca.
Il cretino dice che il cane miagola e il gatto abbaia, e anche qui non ci si può sbagliare. L’imbecille parla del cane mentre la discussione verte sul gatto, per cui se non si fa attenzione si viene facilmente portati fuori argomento.
Infine lo stupido, che tra tutti è il più subdolo e quindi il più pericoloso. Non per niente si dice, e non per caso, che fa più danni uno stupido che un delinquente.
Lo stupido ragiona per paralogismi, che dal punto di vista logico formale sono ineccepibili ma non altrettanto da quello sostanziale. Un esempio di paralogismo è quello che, partendo dalla premessa maggiore che gli italiani chiamano pane il pane e vino il vino, arriva alla conclusione che Mario, avendo chiamato pane il pane e vino il vino – premessa minore – è un italiano.

Ragionamento che non farebbe una piega, come si vede, se non per il fatto che anche gli svizzeri del Canton Ticino chiamano pane il pane e vino il vino, per cui Mario potrebbe anche essere un cittadino svizzero. Quante volte si siano verificati simili equivoci nelle aule di tribunale è inutile dire, tal che spesso persone innocenti hanno rischiato la galera a causa di testimoni di tal fatta. Attenti agli stupidi, quindi, molti dei quali persino capaci di far accettare alla gente i loro fasulli ragionamenti.
Stupidi che se poi sono anche in mala fede frantumano in un istante ogni civile cenacolo di conversazione finendo anche per alimentare il più abietto odio sociale.
In conclusione, ecco perché si debbono amare gli animali: perché non avendo il dono dell’intelletto non possono essere stupidi.


à ed opportunità di leggi, regole, vincoli, strategie e politiche non residuali o passive, ma di orientamento attivo e responsabile, appaiono evidenti.
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