Lettera a Sandro Antognini

di Aurelio Bufalari - Inserito il 12 febbraio 2010

Caro Sandro, torno su Portorecanatesi, di cui apprezzo la sobrietà, per dire ogni tanto qualcosa di personale. Qui infatti si può serenamente scrivere, anche se io per lo più leggo.
Sai com’è, caro Sandro, sono fatto così: leggo un po’ di tutto.
Penso che ciò non sia un delitto. O forse sì? Anzi, e senza forse, sì! Almeno per una persona della mia età, che dovrebbe aver imparato a distinguere preventivamente tra ciò che si deve e ciò che non si deve leggere. Una precauzione questa che potrebbe evitare imprevisti, come ad esempio le offese alla propria personale “vanità”. Ma è proprio questo il punto, che io non sono vanitoso.
Scrivo professionalmente su un giornale senza pretese megalomaniacali e per diletto su altre pagine a diffusione nazionale. Eppoi ogni tanto su questo sito – ma per sfogarmi, di solito. Mi basta e mi avanza.
C’è invece chi scrive di tutto e su tutto: sulla Bibbia come sul Corano; sull’Unità come sul Secolo d’Italia; su manuali di ginnastica come su prontuari di culinaria; su Nietzsche come su Pasquariello; di urbanistica come di dinamica dei fluidi – giusto per fare qualche esempio.
“Questi nostri atei sono gente pia”, diceva con grande visione delle cose umane Max Stirner. Succede così che chi dice di non credere vada poi in pellegrinaggio ad Assisi e chi afferma con orgoglio di essere di “destra” vada poi a “contaminare” la propria penna sulle pagine di un giornale di “sinistra”. Questo per dire di certa coerenza.
A me, che pur sono un eclettico – diplomato in chimica industriale e laureato i “filosofia morale” – tutto questo eclettismo senza “armonia” fa venire l’orticaria.
Dovrei a questo punto ricordare, con Ludwig Wittgenstein, che “su ciò di cui non si sa cosa dire e meglio tacere”. Ma prova tu a dirglielo, caro Sandro, a quelli che si occupano di tutto che spesso non sanno quello che dicono e che scrivono.

Allora, in conclusione di questa lunghissima premessa, se non sei “vanitoso” e se hai il grave difetto di leggere tutto ciò che ti capita per le mani, devi subire.
Per dire, qualche giorno fa vado a leggere Porto Recanati News, e che ti trovo? Un articolo che fingendo di avere a cuore un barbone si preoccupa invece della stazione. Ma siccome se qualcuno soffre di qualcun altro deve essere la colpa, quel qualcun altro è stato individuato, dall’estensore dell’articolo, nella mia persona.
Ma non basta, che a pagina 5 dello stesso foglio vengo definito un po’ subdolamente un “asservito” (alla Gaz de France?) perché magari non partecipo ai “comizi” organizzati da SEL – «Carneade, chi era costui?» si chiedeva don Abbondio – contro il rigassificatore.

A dire il vero, e tenendo conto di tutto, questa è la cosa più sensata che si trova in quell’articolo.
Eppure, a leggere tutte queste attenzioni nei miei riguardi, non ho avvertito in me alcun sentimento di “rabbia”, ma un sussulto di “vanità”, forse fino a quel momento inopinatamente repressa. Ecco qui di seguito che cosa ho pensato, caro Sandro.
Che sono stato io in prima persona a salvare la vita a quel pover’uomo definito barbone. Stava morendo su una panchina del corso e forse sarebbe spirato entro la notte entrante.
Senza andare ai particolari, ho fatto tutto ciò che c’era da fare per salvarlo – ci sono testimoni – finché è stato ricoverato in un centro di cura dove tutt’ora si trova, dopo quasi due mesi, al sicuro e in, diciamo così, “buone” condizioni di salute.
Magari fra tre o quattro mesi ce lo ritroveremo per il corso a bofonchiare, fumare e tirare a campare, e non è improbabile che quelli che si preoccupano più della stazione che del barbone commentino con orgoglio: «Alla faccia del giornalista!».
Quanto al “servo della Gaz de France”, che vuoi che ti dica, caro Sandro, se non che leggendo tale “benevolo” apprezzamento ho sperimentato il massimo della “vanità”, e l’unica cosa che mi è venuta da pensare è stato: «Ha parlato Melè, ha detto “zà”».

Tuo Aurelio Bufalari.
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