Eutanasia.

di Aurelio BUFALARI | inserito il 22 novembre 2009

Innanzitutto vorrei rendere omaggio, anzi elogiare il Presidente Giorgio Napolitano, ancor più che per il suo spessore umano per la interpretazione del ruolo che ricopre in quanto garante, prima di ogni altra cosa, dei diritti della persona, i quali, si badi bene, non corrispondono esattamente con quelli del cittadino. Mi riferisco evidentemente al suo intervento sulla questione riguardante la pratica dell’eutanasia. Eutanasia significa “buona morte”, esito al quale ogni persona ha diritto. E qui finisce la mia disquisizione su questo dilacerante concetto perché, tralasciando gli aspetti emozionali, vorrei parlarne dal punto di vista del diritto, o meglio dei diritti umani.

Il cammino della civiltà – prendo come punto di riferimento esclusivamente il mondo cosiddetto occidentale per non appesantire il discorso – è costellato, e quindi sostanziato, da una progressivaespansione dei diritti umani, alla base dei quali si pongono quelli detti naturali. Espansione significa che storicamente nuovi soggetti sono entrati a godere di diritti dai quali prima erano esclusi. Intere categorie hanno avuto accesso all’universo dei diritti – ultimamente e giustamente persino gli animali – ma non nella luce di tutti i diritti che le riguardano.

Il diritto al “corpo proprio” – saremo ben padroni di noi stessi, suvvia! – è uno di quelli ipocritamente considerati inalienabili, ma la sua luce non raggiunge incondizionatamente tutte le persone, ad esempio i malati terminali che dipendono totalmente da altri. Ognuno che ritenga le proprie condizioni di vita inaccettabili può, volendolo, porre fine alle proprie insopportabili tribolazioni, ma non quel genere di malati. Un vulnus, quindi, nel cuore stesso del diritto. È questo il motivo per il quale alla fase dell’espansione deve seguire quella della specificazione, tal che, dopo aver esteso i diritti a tutti, li si attribuisca ad ognuno, cioè sia necessario determinare quali siano e a chi concretamente spettino – categorie o individui singoli che siano.

L’espansione e la specificazione non generano conflitto all’interno del diritto perché l’inclusione – espansione e specificazione – non comporta l’esclusione. In altre parole, che qualcuno possa avvalersi della pratica dell’eutanasia non implica che chi non lo voglia sia costretto a subirla. È talmente chiaro ed intelligibile questo concetto che soltanto persone in malafede o che abbiano perso il lume della ragione possono negarlo.
Dire diritti universali ormai equivale a dir niente perché nell’universale non sempre c’è posto per il particolare e meno che meno per l’individuale. Questa aberrazione origina da una concezione teologica della vita e dell’essere in generale, per la quale la “titolarità” della vita stessa risiede in altri: Dio,  Patria, Società, Umanità ed altre consimili  “fissazion”.

Il corpo proprio sarebbe dunque un qualcosa che appartiene a queste trascendenze e non mai alla persona concreta con nome e cognome. Chiunque sia affetto da ideologia è da considerarsi ipso facto un nemico dei diritti delle persone nella loro concretezza, nome e cognome – non, si badi bene, della Persona, che rappresenta una ideologia tra le tante.
Morale della favola, anche chi oggi dice di essere favorevole alla pratica dell’eutanasia, cioè della buona morte, faccia un bell’esame di coscienza e veda se non parte proprio anche dalla sua “visione del mondo” la negazione dei diritti dell’uomo nome e cognome.

Una buona morte, tutta la vita onora”, diceva il poeta, ma eravamo nell’800 e i valori di riferimento erano altri: non nuovi, in verità, neanche per quel tempo. Ma ci sembra importante che l’accento sia stato posto proprio sul concetto di buona morte, che deve comunque essere una morte volontaria – voluta ed accettata – per avare un valore. Oggi è tempo che ognuno sia scopo a se stesso al momento della sua ultima volontà, dopo che quella cosiddetta libera delle scelte esistenziali ha avuto fini altri: quelli della trascendenza, appunto.
Morire e farsi uccidere per il proprio Dio, per la Patria, per la Famiglia, per la Comunità e persino per il Partito, è sempre stato considerato un punto di onore – una sorta di santità morale oltre che un valore estetico – ma morire per se stessi risulta addirittura riprovevole, vergognoso ed immorale. Le ideologie sono robustissimi castelli dalle mura ancor più robuste, ma mostrano tutta la loro fragilità e cadono come castelli di carte una volta sottoposte alla riflessione critica – per questo vengono poste come dogmi. Non è così anche per il tabù dell’eutanasia?

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