Il ricordo di un vecchio Amico.

L'infanzia è stata, per Emilio, età mitica; età, cioè, dello scaturire della vita e del suo significato da avvenimenti fondativi , destinati a riproporsi costantemente nel presente. D’altra parte, il mito altro non è che una narrazione protologica, che connette il divenire al momento originario, che fa del presente un riflesso in cui si riverbera perennemente e perennemente ritorna la fissità di ciò che è stato originariamente. E non importa che questo sentimento dell’esistenza si radichi nei grandi orizzonti dello stupore umano per l’essere del mondo e delle passioni universali, piuttosto che nella dimensione interiore dell’esistenza di un individuo che si affaccia per la prima volta sul mistero della vita. D’altra parte, è risaputo, la forma mitica del sentire e del significare accomuna i popoli "primitivi" e i fanciulli. E ad essa è strettamente legata la prima poesia, come ci hanno insegnato Vico, Schiller e Leopardi.
Emilio Poeta.
La poesia di Emilio, infatti, scaturisce dal mondo di miti della sua infanzia, che rivivono costantemente e nostalgicamente nel presente.
E’ un mondo apparentemente minore, fatto di case basse, di "viguli", di corse "a pia scalzi a primavera". E’ il mondo che Emilio ha visto per la prima volta e che ha segnato per sempre la sua sensibilità umana: un piccolo paese in riva al mare, attorno al quale si aprono ampi spazi per l’esplorazione, il gioco, la scoperta di sé.
E’ in questo mondo aurorale dell’infanzia, ancora integro e vergine - mondo mitico per eccellenza - che Emilio ha formato quel senso dolente e appassionato del vivere che ha caratterizzato la sua poesia e che lo ha sempre spinto a cercare l’amicizia che realizzasse quella fusione di sentimenti e di destini che aveva caratterizzato il suo mondo affettivo infantile.
E’ questo mondo che Emilio ha rimpianto e sentito vivo dentro di sé per tutta la vita come la cosa più bella e più vera. Si legga a questo proposito la poesia intitolata Ci ò ‘na ‘oja matta:

Tra le "asche, i tamaricci,
la chiusa cu’l campetto de Quaquà"

si snodava quella vita "in brangu" che quando si vive sembra non dover finire mai. Quell’età indimenticabile dell’inizio di ogni cosa, in cui "la giornata era breve, ma gli anni non passavano mai". (C. Pavese, Dialoghi con Leucò) Porto Recanati in quel tempo aveva un centro abitato circoscritto entro la linea della ferrovia; attorno si aprivano gli ampi spazi dei terreni coltivati. I tempi della vita quotidiana erano scanditi dal "pitto" dei Cementi: quello di mezzogiorno segnalava che di lì a poco gli operai sarebbero rientrati a casa , ed era necessario che le donne si affrettassero perché il pranzo fosse pronto.
A quell’ora il paese era percorso da decine di uomini in tuta blu che, a piedi o in bicicletta, percorrevano le poche centinaia di metri - nel peggiore dei casi - che dividevano la loro abitazione dal luogo di lavoro.
La dimensione del paese, infatti, era tale che gli spostamenti più frequenti richiedevano solo pochi minuti, e tutto ciò che accadeva diventava subito un evento collettivo che coinvolgeva tutti e ciascuno.
D’altra parte, i rapporti sociali erano estremamente intensi: la vita di ciascuno era integrata nel reticolo dei rapporti di vicinato che caratterizzavano i viguli e ai quali si sovrapponevano quelli di parentela, che, più o meno stretti, non mancavano mai in questo contesto.
Nessuno era completamente solo, anche nel senso, meno accattivante, che la vita di tutti era sottoposta ad un costante e spesso malizioso controllo.
Gli operai - solo qui, a Civitanova Marche e a Tolentino così numerosi, in una provincia altrimenti nettamente agricola e mezzadrile - e gli artigiani costituivano un gruppo sociale distinto rispetto a quelli dei pescatori e degli sciabbegotti.
Il fascino del mondo dei pescatori.
Emilio, soprattutto, ha subito il fascino del mondo dei pescatori, cui pure non apparteneva, ma che gli è sembrato il più vicino all’éthos originario del paese; da quel mondo ha tratto una realtà poetica ricca di colori e timbri. Si legga , ad esempio la sua descrizione della marina (La Marina) Più di chiunque altro, Emilio ha appreso l’anima del mondo dei pescatori, intuendone l’essenziale e sapendo, però, proprio in virtù della sua diversa origine, metterne in risalto anche gli aspetti caratteristici e bizzarri, dipingendola senza mai cedere alla leziosità di maniera; anzi, ha saputo metterne a nudo anche i difetti e le meschinità: il suo, però, è stato sempre un umorismo affettuoso, di cui quella stessa gente ha capito lo spirito, come dimostra il fatto che nessuno si è mai risentito di quel suo modo pungente di mostrare certi caratteri, segno che in essi nessuno ha visto una caricatura, bensì uno specchio nel quale riconoscersi sorridendo.
A un certo momento - e non poteva essere diversamente: la vita imponeva nuovi doveri e la realtà cambiava sempre più rapidamente e con essa cambiava anche Porto Recanati - egli ha sentito che quel mondo - i posti, le case, le facce, le parole i gesti - stava scomparendo: si legga per tutte la poesia Nun sento più cantà.

In parte era un bene che ciò avvenisse, ed Emilio ne era consapevole: quel cambiamento portava con sé - finalmente! - la fine della miseria. Anzi, il benessere, cioè quella sicurezza del futuro che intere generazioni avevano sognato invano.
Come rammaricarsi di quel progresso, fatto di mille piccole cose piacevoli, che il turismo di massa e la società dei consumi portavano a quelle donne e a quegli uomini che avevano conosciuto solo la vita de "tribulaziò" ?
Eppure Emilio sentiva che in questo cambiamento, peraltro positivo, andava perduto qualche cosa di essenziale; che l’ansia del nuovo portava a sottovalutare il rischio di "perdere le radici". Ecco, allora, il suo incessante sforzo per conservare e far rivivere quel mondo di cose e di simboli che portava da sempre dentro di sé. Di qui la sua predilezione per la commedia, nella quale riviveva, seppure nella finzione scenica, quella realtà che il mutamento in atto rischiava di cancellare.

Emilio commediografo.
La commedia, d’altra parte, si prestava meglio di altre forme espressive a valorizzare la teatralità tipica del portorecanatese, l’importanza semantica del gesto che accompagna la parola. In questo senso non è esagerato dire che il suo sia stato un teatro civile, nel senso più ampio del termine; un teatro, cioè, dell’éthos comunitario, dello spirito civico della comunità locale, che si ri-conosce nei suoi vizi e nelle sue virtù e rinsalda i legami comunitari da cui scaturisce l’io collettivo rammemorante, senza il quale non c’è historia, perché non c’è il soggetto che "testimonia".

Nella sua produzione teatrale, come pure in quella poetica, c’è un’esortazione implicita a riprendersi quella cultura, a non considerarla un residuo folcloristico. Se molti hanno accolto quel suo invito è perché i miti personali di Emilio erano parte essenziale della realtà interiore di tanti, che in essi hanno riconosciuto i luoghi, i sapori, i gesti, la spiritualità della loro stessa infanzia, della loro vita più intima. Emilio ha dato a questi sentimenti comuni le parole che tanti non trovavano per esprimerli, e ci ha fatto sentire "oja de ‘rturnà criaura".
Anche per questo si è fatto "ladro de parole

[da] quelle antighe
che te sa de sole
de pagni spasi
passati alla lescia".

Parole da conservare, da ri-usare, da capire, affinché lo spirito che in esse è come rappreso continui a vivere.
Anche così Emilio ha vissuto la sua vocazione forse più vera: quella di educatore; una vocazione che è nata probabilmente nel suo impegno oratoriano, iniziato giovanissimo come dirigente dell’Azione Cattolica, collaboratore e amico, mai accomodante, dei direttori salesiani che si sono avvicendati a Porto Recanati, da don Giuseppe Giacomini, a don Luigi Cazzola a don Ennio a don Dino a don Giancarlo, ecc.
Emilio non è mai stato un "ex" allievo, perché lui nell’Oratorio c’è sempre rimasto in modo attivo, anche quando gli incarichi di presidente dell’Azienda di soggiorno, consigliere comunale e dirigente della società sportiva calcio, lo hanno impegnato a fondo.
Educatore e amico, sempre circondato dai giovani - lui che per definizione era "el vecchio"- sempre disponibile al confronto di idee.
La sua vocazione di educatore e il suo senso religioso dell’amicizia scaturivano entrambi dal bisogno di comunione umana che era, ad un tempo, l’espressione della sua personalità, del costante e nostalgico richiamo a quell’epoca della sua infanzia di innocenza e spontaneità di costumi e di rapporti, e l’incontro con il personalismo cristiano, di cui Emilio aveva fatto suoi i motivi essenziali.

Emilio cristiano.
Anche la sua esperienza di fede è inscritta all’interno dell’orizzonte salesiano dell’amore attivo inteso come principio educativo.
Nella sua religiosità non c’era niente di bigotto e di esteriore, anche se alcuni momenti della liturgia cattolica lo commuovevano profondamente, facendogli rivivere i sentimenti più intensi della vita spirituale della sua infanzia. Si leggano a questo proposito le poesie piene di commozione dedicate al Natale e al venerdì santo:
La bara de notte; ‘Enerdì santu; Passa la bara; La notte della ‘egilia; Natale.
Nell’emozione che sentiva per la messa di Natale e per la processione della "bara de notte" c’è anche la predilezione per la religiosità che si fa evento comunitario, di popolo; fusione spirituale nella quale rinasce la fede del cuore, assieme ai suoi emblemi.
Ma essere cristiano per Emilio ha significato soprattutto vivere il comandamento evangelico dell’amore, "l’apertura verso le persone umane" (J. Maritain, La persona umana in generale).
In questo spirito egli ha anche vissuto l’apertura conciliare al confronto con gli "uomini di buona volontà", sempre però nella fedeltà intransigente, e a volte insofferente, alle proprie idee. L’apertura "alla società di persone umane" ha significato per Emilio, soprattutto il servizio reso nell’attività sociale.
Emilio nel sociale e in politica.
Per lunghi anni è stato Presidente dell’Azienda di soggiorno, cercando sempre di valorizzare a fini turistici proprio quegli aspetti della Porto Recanati che amava di più e che, giustamente, egli riteneva che la facessero preferire a tante località più blasonate.
E’ suo lo slogan, Porto Recanati salotto sul mare, nel quale è sintetizzata la caratteristica forse più tipica della nostra cittadina: la possibilità di vivere in una situazione di completo relax a diretto contatto con il mare.
Lo ricordiamo anche come uno dei più attivi animatori dell’amicizia con la cittadina tedesca di Kronberg (poi sfociata nel gemellaggio), e come dei più appassionati sostenitori del gemellaggio con Mar del Plata.
Con i nostri emigrati argentini, d’altra parte, Emilio aveva da sempre un rapporto costante e affettuoso, vivendo quasi con un senso di colpa quella separazione tanto amara. Più in generale, Emilio è sempre stato presente quando si è trattato di contribuire a far nascere qualche iniziativa nuova (è stato tra i fondatori del Centro Studi, ha promosso il Comitato Pro-Portorecanatesi in Argentina, ecc)
Forse proprio per questo spirito costruttivo non sopportava quelli che erano capaci solo di criticare gli altri, o, peggio ancora, quelli che subordinavano tutto al loro ruolo personale. E’ stato a lungo consigliere comunale e membro attivo del partito della Democrazia Cristiana. La sua attività in politica si è svolta sempre fuori dalla logica troppo soffocante dell’appartenenza a schieramenti e correnti. Di questa sua indipendenza andava orgoglioso, anche se ciò lo rendeva un pò sospetto a tutti coloro che giudicavano secondo gli schemi tradizionali.
Il rifiuto della partigianeria lo portò anche in Consiglio comunale ad assumere posizioni "personali", guadagnandosi rispetto e amicizia in tutti gli schieramenti politici.
Prima di tutto, diceva, viene l’interesse del Paese.
E Porto Recanati è stato davvero il suo più grande amore.

Donato Caporalini

DEDICATO A EMILIO GARDINI: L'UOMO
a cura di: www.portorecanatesi.it