da: «C'era 'na 'ô»

La vita in mare.

I vecchi pescatori, nei momenti in cui non «remacchiano» (rimagliono) le reti, amano riunirsi «a brangu, sottuento» per evocare momenti più o meno tragici ma sempre esaltanti della loro vita «a bordu» delle imbarcazioni. Il loro linguaggio è scarno, essenziale, ma ricco di immagini evocative che creano, nei più giovani, particolari suggestioni. C’erano imbarcazioni che partivano all’alba e tornavano la sera, oltre che restavano in mare per giorni e giorni.

Quando non c’era da lottare con i vènti e con il mare molto del tempo disponibile era riservato alle varie operazioni di pesca. Gettavano le reti, le «rtiràene» sulla barca dopo ore, selezionavano il pescato mettendolo in cassette, coffe e «pagnerine diverse». Poi, in caso di necessità, riparavano i danni eventuali alle reti ed alle vele.

Altro tempo era dedicato alla cucina. Ogni buon marinaio è anche un ottimo cuoco, e con ogni probabilità, sulle «lancette» sono nati il «brudetto» e «La coda de rospu in putacchiu» le due specialità della nostra gastronomia. Naturalmente, sulle imbarcazioni, il cibo base era costituito dal pesce che appena pescato finiva sul «fugò» (il braciere) «El fugò» era un contenitore di legno o metallo, riempito per metà di sabbia. Al centro del «fugò» c’era un «treppìa» (tre piedi) con sopra «’na graticciata». Sotto «el treppia» si ponevano i pezzi di legno da ardere.


Durante la notte mentre alcuni restavano al timone o a guardia, altri raggiungevano la «pupa» e si sistemavano nei «pajericci» della cuccetta per riposare qualche ora. C’erano due o tre pagliericci imbottiti di foglie secche di granoturco e lì si buttavano, stanchi del duro lavoro, per riposare, a turni alternati.

La vita di bordo non sempre presentava questi aspetti quasi idilliaci, l’infuriare di venti improvvisi con il conseguente aumento minaccioso del moto delle onde creava momenti di viva preoccupazione e situazioni drammatiche che mettevano a repentaglio la vita del pescatore e quella della sua imbarcazione.
Il pescatore portorecanatese ricorda con orgoglio momenti di estrema drammaticità, affrontati di persona o da parte dei suoi colleghi, e culminati a volte in modo tragico o conclusi con l’insperato salvataggio dei protagonisti.


24 maggio 1927 Ciriaco Caporaletti, detto Ciriagu del Pupi, e suo figlio Na¬zareno vengono colti in mare da una improvvisa tempesta. La loro lancetta non riesce più a «tenere» e va a «scurrinnu» verso sud a velocità incredibile. I due restano saldamente legati all’imbarcazione che viene spinta addirittura in Abruzzo, sul lido di Tortoreto.
I due superstiti telegrafano a casa ed in tutto il paese si diffonde una gioia incontenibile poiché si era già persa ogni speranza di salvezza. Per riparare ai danni allo scafo ed alla vela si mobilita l’intera comunità di pescatori che con una pubblica sottoscrizione viene loro in aiuto.


29 marzo 1935 - Tre imbarcazioni appartenenti alla marineria del Porto «La Pasqualina», «Le dò sorelle» e la «Giuseppina» vengono colte in mare da «una fortuna de maru» improvvisa.
A bordo di trovavano uomini di provata esperienza ma la furia impetuosa dei flutti squarciò le lancette e disperse i suoi uomini. Cinque i corpi esamini furono trovati il mattino seguente sulla battigia.

Tutto il paese piombò in una specie d’incubo, in un silenzio totale che durò per diversi giorni. Nei «viguli» anche i ragazzi smisero i loro giochi. I vecchi pescatori, anche oggi amano ricordarli con i loro soprannomi: Peppe de Ajju, Francé de Pelò, ‘Ndrè de Rancio, ‘Ntò e Paulì, Pasquali de la scimmietta. Un vecchio detto portorecanatese, forse nato in quella triste circostanza, quasi a conforto sulla ineluttabilità del destino e sulla inaffidabilità, di questo mese, dice così: «Marzu ha ‘ffugato pure la matre».


Di quel giorno, passato ormai nelle piccole storie di questo borgo marinaro, c’è soltanto un ricordo meno triste. Sotto la lancetta che il mare aveva rovesciata, Bartulumè, un vecchio pescatore, riuscì a salvarsi. Fu trovato privo di forze e senza voce all’interno della lancetta. Per tutta la notte aveva battuto il fondo della barca con un legno invocando aiuto.

Sempre quel fatidico 29 marzo c’è da ricordare un episodio che narrano i figli di Francesco Borini. Il loro padre restò al timone delle «Dò sorelle» fino a che il mare non spinse la barca alla foce del «Musciò». Qui obbligò i due ragazzi a scendere a terra mentre lui restò a bordo nella vana speranza di poterla ancora recuperare. Il suo corpo venne ritrovato sull’arenile di Torrenova, a sud del Potenza.
Di storie sulla vita dei nostri pescatori se ne conoscono tante, sono spaccati di vita di gente semplice che ha da sempre ingaggiato la sua lotta con il mare, fonte di vita e purtroppo anche di morte della nostra gente.


DEDICATO A EMILIO GARDINI - «C'ERA 'NA 'ô»
a cura di: www.portorecanatesi.it