da: «C'era 'na 'ô»

Il matrimonio.

In inverno, quando le barche, per l’inclemenza del tempo, dovevano restare nello scalo, i portorecanatesi ritrovavano la gioia ed il gusto della casa e del vivere in famiglia.
Attorno alla «rola» si ritrovavano come in un rito, dopo una cena sempre più parca, a riempire con la fantasia il tempo ed i vuoti allo stomaco.

Alla «smània» per il guadagno subentrava la voglia di una vita più serena. Era questa l’atmosfera più propizia per celebrare matrimoni ed è per questo che la gente si sposava in inverno e di lunedì.

La festa di matrimonio seguiva un cerimoniale austero, tramandato da generazioni e rigorosamente rispettato. Lo sposo partiva dalla sua casa, sotto il braccio della madre, seguito dai parenti più intimi e poi dagli amici per recarsi a casa della sposa che lo attendeva con tutto il suo corteo aperto da lei e dal padre che la teneva al suo braccio.

I due cortei si fondevano in uno solo per prendere poi la direzione della chiesa. Parenti ed invitati passavano tra due ali di folla e si sottoponevano ad un’autentico slalom perché c’era chi buttava confetti e dovevano in continua-zione evitare di calpestare i bambini che si tuffavano tra i loro piedi per raccoglierli.

La sposa e suo padre varcavano per primi la soglia della chiesa, seguiti dallo sposo e dalla madre. Anche nei banchi si rispettava l’ordine di precedenza ed i parenti dell’uno occupavano la parte opposta dei parenti dell’altra. Al termine della cerimonia gli sposi si fermavano sulla soglia della chiesa per ricevere «la scunfettata» cioè il lancio beneaugurante di confetti, riso e monetine.

II corteo si dirigeva verso la casa dello sposo, raggiunta in precedenza dalla madre di lui, e qui «la socera» dava il bacio del benvenuto alla sposa e mentre con una mano versava confetti e riso sulle loro teste con l’altra metteva nel «pettu» della sposa un consistente pugno di carta moneta, in segno di prosperità. In attesa del pranzo veniva offerto un semplice rinfresco con ciambellone e vermut.

Il pranzo era a base di carne ed iniziava con la «stracciatella in brodu» alla quale seguiva «el lessu de gaiina» con contorno di spinaci, poi tagliatelle e carne in umido, fritto e frutta. Il dolce non era previsto. Dopo, la distribuzione dei confetti a parenti ed invitati.

Questa parte del cerimoniale consentiva agli sposi di alzarsi dal loro posto. Passavano tra i tavoli ricevevano i doni di coloro che non li avevano offerti in precedenza, nella loro casa. L’offerta del dono non poteva avvenire né di martedì né di venerdì. Il giorno preferito era il giovedì che precedeva le nozze.

Durante il pranzo il momento culminante della «scunfettatura» era il più pericoloso; infatti dai banchi, tra gruppi opposti di invitati, partivano autentiche raffiche di confetti, lanciati con una certa foga che causavano danni a piatti e bicchieri e qualche volta alle stesse persone.

Al termine del pranzo la sposa divideva il «bucchè» in tanti fiori che tradizionalmente dovevano essere donati alle amiche nubili in segno di buon augurio per le future nozze di queste.


DEDICATO A EMILIO GARDINI - «C'ERA 'NA 'ô»
a cura di: www.portorecanatesi.it