da: «C'era 'na 'ô»

El parentatu.

Il parentato era una cerimonia che avveniva il giorno precedente le nozze in casa della sposa. Questa distribuiva a parenti e vicini ciambellette all’anice, ciambellone e vino; quest’ultimo veniva offerto addirittura nel «vigulo» dove campeggiavano due damigiane, una di vino bianco e l’altra di vino rosso perché tutti potessero bere a piacimento.

Poi la futura sposa invitava le amiche, gli amici, parenti e vicini alla «stima della dota». Questi in effetti testimoniavano la reale consistenza della dote, commentandone il valore ed i pregi, i ricami, la finezza delle stoffe. I genitori degli sposi certificavano invece, sulla carta da bollo che poi firmavano, capo per capo della «dota» attraverso un’elencazione puntigliosa. Dopo il controllo iniziava il rinfresco e si aprivano le danze tra i giovani presenti.

Più tardi, al termine della festa, quando tutti ritornavano a casa per la cena, la dote veniva caricata sui «cariòli» per essere trasferita nella casa dei futuri sposi. Alcune donne la sistemavano negli «armuà» e nei «cumò» poi controllavano nuovamente i blocchi di biancheria, ben legati con nastri rosa e celeste, «i rotuli de tela», «i sciuccamà», i «lenzoli» «piagette e pannucci», «le camigie, i ‘éstiti» perché nulla fosse stato sottratto dai parenti di lei, al momento del trasferimento.

Il parentato aveva il duplice significato di simboleggiare l’ingresso della futura sposa nel nuovo clan familiare e di sancire, nel pieno rispetto della legalità, la consistenza del patrimonio, in dote, che lei portava nella sua nuova famiglia.


DEDICATO A EMILIO GARDINI - «C'ERA 'NA 'ô»
a cura di: www.portorecanatesi.it