da: «C'era 'na 'ô»

Il fidanzamento.

Il punto di partenza di un rapporto affettuoso tra un giovane ed una giovane era « l' ucchiatella » per il corso o il lungomare. Qui, nei giorni festivi, avveniva il passeggio ed uno sguardo furtivo, ripetuto ad ogni «passata» davanti alla persona desiderata era il segnale che qualcosa bolliva in pentola tra i due.

Dall’« ucchiatella », appena accennata, si passava a qualcosa di più vistoso, anche se fatto di notte: la serenata, da parte dell’innamorato; infatti, in compagnia di amici, si recava sotto la finestra di lei ed iniziava il canto. Se la ragazza acconsentiva accendeva «la luma» se invece non voleva corrispondere, il mattino seguente, spargeva fuori dalla porta di casa «la pulverella», cioè della segatura di legno. In alternativa a questa poneva fuori di casa «un caldaru e ‘na scopa» che avevano il significato di un diniego.

Molte volte, dato che erano i genitori a programmare la persona da sposare per i propri figli, l’amore tra due giovani veniva da questi contrastato. In tal caso si ricorreva all’intervento della «ruffiana», una vicina di casa o una amica che esercitava una certa influenza sui genitori stessi.
In caso di esito positivo della sua «missione», prima delle nozze, i giovani erano solito donarle, come ricompensa, una camicia ricamata.

Spesso i motivi che spingevano i genitori a «cumbinà» il matrimonio erano di carattere economico. Pur di non disperdere i rispettivi patrimoni combinavano matrimoni anche tra cugini di primo grado.

Quando avveniva il fidanzamento le due famiglie si riunivano in casa della ragazza, dove alla promessa di giungere al matrimonio si univa lo scambio delle «fedine de fidanzamentu».
Durante il periodo che precedeva il matrimonio i fidanzati avevano una maggiore possibilità d’incontro, previsto nella settimana in giorni stabiliti. Ma la coppia aveva rarissimi momenti d’intimità perché gli incontri avvenivano sempre in presenza della madre o di un parente.

Tale azione preventiva dava garanzie sicure perché i due fidanzati potessero giungere al matrimonio «cume la matre l ‘éa fatti» e la sposa potesse salire all’altare vestita di bianco; infatti per chi trasgrediva c’era una funzione mesta nelle prime ore del mattino, alla presenza di pochi intimi, e la sposa indossava un abito scuro.

Le frasi che le nostre donne solevano ripetere quasi ogni volta che i fidanzati s’incontravano, suonavano come un forte avvertimento: «Tera santa e acqua santa insieme fanne el fangu» oppure: «La pajia 'icinu al fogu brugia».


DEDICATO A EMILIO GARDINI - «C'ERA 'NA 'ô»
a cura di: www.portorecanatesi.it