90- La riflessione di un ex-scout sul campo dei Salesiani.
di Giuseppe SILVESTRINI | pubblicato il 05/01/2008 | Stampa
Volevo iniziare queste quattro righe definendomi un ex-scout, ma lo trovo un inutile quanto inappropriato neologismo, poiché uno scout resta tale per sempre.
Quindi, da scout quale sono, rimango attaccato saldamente ai miei ricordi da ragazzo passati con i miei amici e compagni all’interno dell’oratorio. Ogni pomeriggio eravamo lì, a giocare a calcio, a baseball alcune volte, nel nostro amato “campo de breccia”. Ogni fine settimana lo passavamo lì, con addosso la nostra divisa scout e il sorriso di chi non pensa nient’altro che a divertirsi, ignari, che i nostri capi sudavano sette camicie per seguire la linea d’insegnamento di Robert Baden-Powell.

Probabilmente l’unica ancora valida rimasta oggi. Vorrei subito correggere il termine “divisa” che ho appena utilizzato sopra. I miei capi, non amavano chiamarla così. Preferivano, a ragione, il termine “uniforme”, perché non è un segno di “divisione” dal resto dei ragazzi, ma di “unione” fra noi stessi, di coesione, di altruismo e di amore per la natura, per la vita e tutto ciò che ne fa parte. Ebbene, è proprio questo principio che ho visto negli anni venire a mancare negli scout di Porto Recanati.
Io stesso ho nostalgia dei “bei tempi andati”, nonostante abbia soltanto ventisei anni. Vorrà pur dire qualcosa. Queste parole le sentivo sempre dire a mia madre e a tutta la sua comitiva di “ex-scout”, scusate ancora l’ex ma credo che col passare del tempo questo termine non sia poi più così inappropriato come pensavo, come mi avevano insegnato.
Non sono un “ex-scout”, ma sono da poco un ex-parrocchiano, questo non posso evitarlo. Mi sono trasferito fuori Porto Recanati, ma ciò non toglie che il mio cuore resterà sempre nel mio amato “oratorio dei frati”!
Senza che mi dilunghi oltre, arrivo al dunque. Fra i tanti scout che sono passati attraverso quel cortile c’è anche Alberto Giattini, del quale ho letto l’articolo pochi giorni fa. Prego chiunque stia leggendo queste mie righe, di cercare, di tentare almeno, di cogliere fra le parole di Alberto una benché minima traccia rimasta di quello spirito scout di cui vi parlavo. Neanche l’ombra. Non gliene faccio una colpa assolutamente, sono punti di vista, opinioni personali, giuste o sbagliate che siano.
Semplicemente non condivido in nessun modo il suo pensiero. Semmai la mia critica va al gruppo scout stesso, del quale comunque Alberto ha fatto parte per una vita.
Ho letto anche l’articolo di Fiorenzo Piangerelli, del quale condivido ogni singola parola, ogni spazio, ogni punto, ogni singolo “ruggito” scout che ho sentito impregnato su quel foglio, nonostante la parola “scout” non sia mai uscita dalla sua penna. Ai suoi tempi gli scout avevano voce in capitolo sulle decisioni prese per l’oratorio.
Non che il resto dei parrocchiani non ne avessero, ma erano gli scout che riuscivano a muovere le acque, a scrollare i giovani. Erano loro la voce giovane dell’Oratorio.
Ovviamente, non pretendo questo oggi, ma esigo, come scout, come portorecanatese e parrocchiano, che l’oratorio tenga informati i parrocchiani a proposito di tutto.
Dall’acquisto di una sedia, al restauro del tetto del teatro, alla costruzione di garage sotto il campo da calcio. Non intendo quindi, informarci di tutto a cose fatte, com'è successo in questo caso (sperando non accada mai più) ma rendere partecipi tutti, grandi e piccoli, con chiarezza e trasparenza. Seduti assieme a una grande tavola rotonda per discutere il problema che si è venuto a creare e cercare il modo più giusto e valido per risolverlo…per raggiungere l’obiettivo comune…per fare la felicità di tutti, o perlomeno di molti.

Era bello quando avveniva questo, come ci ha insegnato don Bosco. L’oratorio chiedeva aiuto ai parrocchiani, perché lo stesso don Bosco amava ripetere, come ci ha ricordato nel suo intervento Fiorenzo Piangerelli, che l’oratorio è dei ragazzi e devono essere i ragazzi a gestirlo.
Oggi mi fermo per strada, incontro un mio amico che ancora frequenta le attività scout nell’oratorio, e alla domanda “Che ne sai dei garage sotto il campo dei frati?” lui stralunato mi risponde “Garage…non sono parcheggi pubblici?”. “SVEGLIA!!!” gli rispondo. E lui sorridendo fa “Vabè dai! In cambio c’emo l’erba sintetica no?”.
È triste e scoraggiante accorgersi che c’è sempre più gente all’oscuro dei fatti, non soltanto per la mancanza d'informazioni, ma per loro stessa assenza d'interesse.
Com’è successo per i garage, potrà succedere presto per qualcos’altro. Chi sarà a risolvere il problema, a raggiungere l’obiettivo? L’ispettoria, come per i garage, o i parrocchiani? La politica o il buon senso?

Critico il gruppo scout di oggi perché non conosco i principi di ogni singolo parrocchiano, di ogni singolo portorecanatese. Al contrario però, conosco e condivido i principi scout. Principi di cui andavo fiero, che mi hanno cresciuto, dentro e fuori le mura salesiane e famigliari. Principi che lentamente stanno svanendo.
Fra tutti questi parrocchiani, quanti scout ci sono? Nessuno di loro si è mai posto una piccola domanda? Nessuno di loro ha mai avuto un dubbio o alzato la mano per chiedere chiarimenti? So di non avere il carattere per esplodere un “ruggito” come, sono certo, avrebbe fatto Fiorenzo Piangerelli nei “bei tempi andati”, ma ci sono tante persone all’interno dell’oratorio e del gruppo scout, che potrebbero rialzare la testa e gridare la propria appartenenza alla parrocchia. Un urlo che creerebbe certamente un’eco importante e necessario vista la situazione. Non dovrà e non potrà passare inosservato.
Non posso credere che soltanto un EX-SCOUT di ventisei anni si ponga un così semplice problema.

Concludo con una citazione che credo racchiuda l’essenza dello scautismo, un principio che non è soltanto di uno scout, ma di tutti i figli di Dio:
    “Il modo vero di essere felici è rendere felici gli altri. Prova a lasciare questo mondo un po' meglio di come l'hai trovato e, quando arriva il tuo momento per morire, tu puoi morire felice nel sentire che in ogni caso non hai perso il tuo tempo ma hai fatto del tuo meglio.”
    (dal Testamento di Robert Baden-Powell)
Giuseppe Silvestrini | pubblicato il 05/01/2008 | Stampa