54 - Le due volte Emanuele Severino.
di Aurelio BUFALARI | pubblicato il 20/01/2005 | Stampa
In un brevissimo lasso di tempo, sono venute alla discussione nazionale due tematiche che interessano molto strettamente la civiltà laica, quella sull’embrione e quella sull’eutanasia. I motivi di fondo per rifiutare la manipolazione dell’uno e la pratica dell’altra li conosciamo e non è il caso di riproporli.
Vorrei invece fare una riflessione su quanto in merito ha detto Emanuele Severino sulle pagine del Corriere della Sera.

Tesi: l’embrione è da considerarsi a tutti gli effetti un essere umano perché lo è in potenza.
Questa idea della potenza risale ad Aristotele e dice che tutto ciò che è in atto – cioè attualmente presente – lo fu già in potenza. In effetti, niente e nessuno può diventare qualcosa che non sia nelle sue potenzialità.
Un seme, ad esempio, può diventare mela se ha in potenza di diventarlo, perché se ha in potenza di diventare pera, tale sarà.
In altre parole, il seme di mela diventerà mela e quello di pera, pera. Per cui, partendo dal suo essere in potenza – in divenire – l’embrione diventerà prima feto e poi essere umano.
Confutazione: non tutto ciò che è in potenza diverrà necessariamente atto – lo dice lo stesso Aristotele. Un seme, ad esempio, potrebbe non diventare mai un frutto, ma restare quello che è. Ne consegue che mangiare un seme non è come mangiare una mela, così come, per analogia e simmetria, sopprimere un embrione non equivale a sopprimere un essere umano.
Ed il ragionamento – così come mi sembra lo intendesse Severino – non fa una piega. Ma i suoi critici hanno voluto deliberatamente fraintendere – cioè far fraintendere – il suo discorso, avendo gioco sin troppo facile nell’inquinarlo.

Per conto mio, e in appoggio a Severino, vado ancora più a fondo perché non limito il discorso alla semplice potenza, ma lo estendo, doverosamente, l’atto.
Il fatto che l’embrione sia in potenza un uomo non significa che questo, ove quello procedesse verso l’attualità, sarà il termine della sua corsa, perché oltre l’uomo c’è la morte dell’uomo, la quale comporta che pulvis eris et pulvis fueris, cioè chimica. Allora, alla fine del suo divenire l’embrione – realtà biologica – sarà in atto ciò che fu in potenza, cioè polvere – realtà chimica.
Se non vogliamo trarre dalla teleologia una conclusione così devastante, dobbiamo fermarci molto prima: quando sopprimiamo un embrione, non sopprimiamo né un uomo né un miscuglio chimico, bensì un semplice embrione, il quale è tale in atto, e soltanto ciò che è in atto è realtà – questo lo dice Immanuel Kant mandando a pezzi la metafisica tradizionale.

Ancora Severino sull’eutanasia. La vita, dice giustamente il filosofo, essendo un dono di Dio non dovrebbe più appartenergli perché altrimenti, ove ne fosse pretesa la restituzione, sarebbe soltanto un prestito, ed in quanto tale andrebbe restituita nella sua integrità.
Il prestito è una categoria che è trattata anche dal diritto e Severino vi scivola dentro con troppo anticipo, come se la filosofia non avesse risposte da dare.
Io invece voglio continuare sulla strada iniziale. Se la vita è un prestito, perché lo stesso dispensatore originario una volta concessolo non se ne cura più?
E tanto non se ne cura che lascia deperire la vita miseramente tra malattie e catastrofi naturali nell’impossibilità del beneficiario di conservarla nel miglior stato possibile.
In questa doppia contraddizione naufraghi il credente, se vuole. Ai non credenti moralisti – la morale è religione essa stessa – chiedo: esistono diritti riconosciuti?
Se sì, il primo vero inalienabile diritto è quello della proprietà del proprio corpo, senza il riconoscimento del quale nessun altro diritto è legittimabile, se non come paternalistica concessione.
L’omicidio, punibile o meno, si perpetra nei confronti di un altro, il quale è verosimilmente in opposizione rispetto alle intenzioni dell’omicida, ma nell’eutanasia questa opposizione non si dà – tutt’altro!
Allo stesso modo, ed in analogia, il dissenso di un derubato nei confronti del ladro configura il reato di furto; ma se il passaggio di un bene dal possessore originario ad un altro avvenisse mediante consenso avremmo soltanto prestito o dono o acquisto.

Al di là dei diritti individuali, la discriminante tra reato e non reato, nella fattispecie, è il consenso – per non parlare poi di espressa volontà.


di Aurelio BUFALARI | pubblicato il 20/01/2005 | Stampa