46 - Il Buttafuori.
di Aurelio BUFALARI | pubblicato 15 febbraio 2004 | Stampa
L'ultimo recente fatto di violenza senza scopo accaduto nell’osimano dove un giovane è morto per mano di un cosiddetto “buttafuori”, induce a fare alcune riflessioni sulla concezione corrente delle modalità che regolano i rapporti tra cittadini con eguali diritti di fronte alla ragione.
Da tutti i punti di vista, a quale tipologia specifica può essere assegnata la figura del buttafuori? Per non perderci in innumerevoli e contorti sentieri categoriali, riassumiamo senz’altro ogni altra categoria in due categorie essenziali, quella del diritto e quella dell’etica. Dal punto di vista del diritto, come può essere inquadrata la figura del buttafuori? L’etimo della parola stessa è forse ignoto, ma la percezione immediata del suo significato è molto chiara: chi si disfà di qualcuno o di qualcosa. Là dove il disfarsi di un oggetto non gradito non comporta costi aggiuntivi, disfarsi di una persona comporta spesso prevaricazione, violenza e sofferenza.

Lo Stato nacque allo scopo, e in tale senso viene tuttora riconosciuto, di evitare la violenza dell’uomo sull’uomo tipica dello stato di natura, per cui possiamo dire, dal punto di vista del diritto, che lo Stato possiede il monopolio della forza, onde per cui a nessuno è consentito farsi giustizia con le proprie mani. Stando a quella che di norma è la mansione del buttafuori, dobbiamo dire che dal punto di vista giuridico tale personaggio si configura come un fuori legge. Esso infatti non è e non può essere riconosciuto dagli altri, tale riconoscimento essendo prerogativa dello Stato e, per esso, delle forze dell’ordine che lo rappresentano.
Chiunque rechi molestie che non costituiscano minaccia diretta all’incolumità di qualcun altro, deve essere assicurato alla giustizia legale mediante la forza legale e non mediante buttafuori. Chi autorizza questo figuro a metter le mani addosso – altrimenti in che modo butterebbe fuori? – ad un'altro uomo, e perché questo stesso uomo non dovrebbe reagire – in qualsiasi modo – di fronte ad una violazione della sua propria persona?

Dal punto di vista dell’etica, quale speciale comportamento adotta il buttafuori e quali speciali requisiti morali gli debbono essere attribuiti affinché gli venga riconosciuta autorevolezza sulle valutazioni da dare circa il comportamento degli altri ed in merito alle conseguenti decisioni da prendere?
Vorremmo forse affermare che il buttafuori – chi è concretamente costui che di volta in volta si trova nei luoghi delle proprie performance ostentando muscoli e incutendo possibilmente soggezione? – possa essere assimilato a quel super–Io freudiano che esercita censura sui comportamenti di ognuno di noi prima ancora che tali comportamenti inizino a rendersi palesi? È il buttafuori che deve giudicare circa il nostro comportamento rispetto agli altri e prenderci per il bavero ove tali comportamenti risultassero disdicevoli secondo il suo informato parere?

È dunque un’autorità morale il buttafuori? Ammesso che sì, i suoi valori etici, guidati da quella superiore moralità, si estrinsecherebbero a forza di cazzotti? I cazzotti rappresentano l’esatto opposto dell’etica che pretende di determinare ognuno di noi secondo azioni che risultino finalizzate al bene dei nostri simili. Dal punto di vista etico ed antropologico, dunque, il buttafuori non è niente altro, o non di più, che un tanghero.
Intervenga chi di dovere e faccia in modo che questo osceno figuro non abbia mai più ad apparire in luogo pubblico con quelle mansioni che colpevolmente ed incivilmente gli vengono – da chi? – riconosciute. Se c’è bisogno, vadano agenti della polizia o dei carabinieri a garantire il dovuto pubblico contegno nelle discoteche e simili. Immaginiamo dei buttafuori allo stadio: migliaia di morti ogni domenica.

di Aurelio Bufalari | pubblicato 15 febbraio 2004 | Stampa